Finanza e Risparmio

Picco dei tassi vicino, ma la stretta non è finita

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di Mariarosaria Marchesano

I timori per il settore bancario sono tutt’altro che sopiti, dopo il fallimento di due banche americane e la crisi di Credit Suisse, acquisita in tutta fretta da Ubs. Ma è anche vero che sui mercati sta tornando una relativa tranquillità dopo che è emerso che il tracollo di Borsa di Deutsche Bank è stato soprattutto frutto di un attacco speculativo di alcuni hedge fund internazionali. Non che la banca tedesca non abbia alcune fragilità, tra continui cambi strategia e derivati e asset illiquidi in portafoglio, che preoccupano gli investitori, ma per il momento la stabilità finanziaria dell’Eurozona appare sotto controllo.

Così quello che interessa ora valutare sono le implicazioni di questo scenario per i tassi d’interesse e i mercati finanziari. Secondo un’analisi del fondo d’investimenti Columbia Threadneedle, «In Europa lo squilibrio normativo è assente e non si è verificato lo stesso deflusso di massa di depositi rispetto ad altre aree. Le banche sono generalmente ben capitalizzate e molte di esse stanno restituendo il capitale agli azionisti. Sembra, insomma, che Credit Suisse sia un caso isolato».

Columbia fa notare che senza le crisi bancarie gli ultimi dati macroeconomici – che mostrano la manifattura in calo ma un settore dei servizi in robusta crescita – avrebbero rilanciato la prospettiva di ulteriori rialzi dei tassi di interesse da parte delle banche centrali. E adesso, invece?

Una discreta parte degli analisti ritiene che le ultime mosse di Bce e Fed – la prima che ha sì aumentato i tassi di 50 punti base ma senza impegnarsi sulle future mosse, e la seconda che ha dimezzato l’atteso rialzo da 0,50 a 0,25 – possano essere interpretate come l’inizio di una nuova fase della politica monetaria, se non come un’inversione almeno come un rallentamento della stretta.

Per Jupiter Am, la crisi del sistema bancario è una chiara prova che le azioni di politica monetaria dello scorso anno stanno funzionando: «Occorre prepararsi a una maggiore volatilità che porterà a un taglio dei tassi», afferma. Una previsione forse ottimistica data la volontà, più volte ribadita sia di Christine Lagarde sia di Jerome Powell, di voler perseguire nella lotta all’inflazione. Intanto, però, qualcosa è cambiato in questo marzo in cui le turbolenze nel settore bancario hanno evocato la grande crisi finanziaria scatenata dal crac di Lehman Brothers nel 2008. «Tutte (le banche centrali, ndr) si continuano a dire preoccupate dall’inflazione ma c’è evidente attenzione anche agli ultimi eventi di liquidità – afferma in una ricerca di mercato Kairos – Dopo 4 punti e 75 di rialzo della Fed in un anno e 3 punti e mezzo in otto mesi da parte della Bce, le cose stanno iniziando a cambiare».

In effetti l’Eurotower ha detto di essere pronta a intervenire per preservare la stabilità finanziaria e la banca centrale americana ha annunciato diverse misure di liquidità e linee di credito swap per facilitare il funding delle banche. «Sono mosse che richiamano una situazione da 2008», osserva Kairos, secondo cui nelle ultime settimane le banche centrali sono tornate a essere ostaggio dei mercati e il mercato inizia a prezzare nuovamente possibili tagli già per quest’anno. Non tutti, però, condividono questa visione. La casa d’affari La Francaise Am sostiene che sebbene le recenti crisi bancarie «Non siano direttamente collegate ai rialzi dei tassi orchestrati dalle banche centrali negli ultimi mesi, questi istituti sono comunque le prime vittime delle condizioni di credito molto rigide a cui stiamo assistendo». E dunque? «La crisi bancaria che stiamo vivendo – prosegue La Francaise –  è un evento importante, ma in linea di principio non è in grado di modificare le previsioni di inflazione e crescita in misura sufficiente da indurre le banche centrali a interrompere il loro ciclo di rialzi dei tassi. Allo stesso modo, quanto accaduto lo scorso ottobre con i fondi pensione nel Regno Unito non ha avuto conseguenze di rilievo. Le banche centrali sono vigili e stanno mettendo in atto gli strumenti per spegnere l’incendio, ma non hanno intenzione di fermarsi».

Una lezione si può trarre da tutto questo in termini di posizionamento degli investimenti, secondo Amundi che, da società di gestione del risparmio, sottolinea quanto in questo contesto d’incertezza, mentre i mercati rivalutano le prospettive economiche, sia necessario mantenere un atteggiamento di cautela. «Gli investitori – suggerisce – dovrebbero adottare un approccio equilibrato, concentrandosi sui titoli di Stato, che tornano a fungere da diversificatori azionari, e sull’oro. Per quanto riguarda le azioni è fondamentale avere un orientamento verso la qualità». Che cosa vuol dire? «I titoli di qualità sono quelli che presentano una bassa leva finanziaria, utili affidabili e stabili e un bilancio solido.

I settori ciclici (come le banche, l’energia e i materiali di base) continueranno probabilmente a essere esposti alla congiuntura economica debole e quindi a rimanere sotto pressione fino a quando non si sarà fatta maggiore chiarezza».