Finanza e Risparmio

Private banking: pronti a investire in economia reale

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di Mariarosaria Marchesano

Da tempo si parla di convogliare il risparmio degli italiani sulla crescita dell’Italia.

I Pir, i Piani individuali di risparmio che investono soprattutto sulle imprese quotate, sono stati il primo – e unico – tentativo di rendere concreto quest’indirizzo. Il timore di caricare i piccoli risparmiatori di eccessivi rischi legati all’andamento dell’economia di un singolo Paese e la carenza di prodotti d’investimento adatti a questa esigenza sono i fattori che frenano con il risultato che è in aumento la liquidità delle famiglie investita all’estero o ferma sui conti correnti.

Dal mondo del private banking, a cui la politica in genere guarda solo quando si parla di tassare i patrimoni, arrivano alcune proposte su come avvicinare un numero più ampio di famiglie italiane al mercato di capitali e far sì che vi investano con un orizzonte di lungo periodo.

Proposte che dovrebbero essere in linea con l’orientamento dell’attuale governo, stando alle osservazioni fatte dal ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, nel discorso tenuto all’Acri nella giornata del risparmio:

È necessario che il settore finanziario assolva alla sua missione di aiutare i risparmiatori e gli investitori a compiere scelte consapevoli che indirizzino le loro risorse verso obiettivi coerenti con una sana crescita dell’economia reale del nostro Paese, coscienti della necessità di assicurare l’equilibrio di bilancio nel medio-lungo periodo.

Ma di quali proposte si tratta esattamente? Occorre una premessa: l’Aipb, l’associazione del private banking presieduta da Andrea Ragaini, festeggia quest’anno quasi 1.000 miliardi di masse gestite, ovvero il 50% della ricchezza delle famiglie italiane. Beninteso, si sta parlando di nuclei ricchi perché il portafoglio medio gestito da un private banker è di 1,9 milioni di euro.

L’associazione, nel tenere monitorati alcuni indicatori chiave che incidono sulle decisioni di investimento degli italiani, ha rilevato tre tendenze. La prima è che le famiglie dispongono di un crescente ammontare di risorse in denaro (+18% negli ultimi cinque anni).

Al contrario, la loro propensione a investire mostra una certa rigidità. Sempre nei cinque anni, è cresciuto, infatti, del 21% l’ammontare tenuto fermo sui conti correnti e oggi rappresenta oltre il 40% dei 3.500 miliardi del totale degli asset finanziari.

In un contesto di inflazione elevata (ha toccato l’11,8% a ottobre) – rileva l’Apb – una così spiccata preferenza per la liquidità aumenta il rischio di erosione del potere di acquisto di quella parte di risparmio che, se investita, potrebbe invece trarre un beneficio dalla crescita del tessuto economico e finanziario.

La seconda tendenza è la diminuzione degli investimenti esteri sul debito pubblico italiano: nei primi sei mesi dell’anno si registravano -110 miliardi di euro rispetto a inizio 2020. Inoltre, si sta assistendo a un ribilanciamento verso il breve termine degli investimenti esteri nel settore privato italiano (più 97 miliardi dal 2019).

Terza tendenza: si rileva una crescente fuoriuscita di capitali privati italiana influenzata, tra le altre cose, dall’andamento dei flussi di investimento delle famiglie in prodotti finanziari domiciliati all’estero (sono stati 284 miliardi di euro dal 2019). Questi numeri – secondo l’analisi dell’associazione – denotano una volontà di diversificare e migliorare le performance dei propri investimenti, a cui si aggiunge un aumento della percezione del “rischio Paese”.

Partendo da queste osservazioni, l’Aipb è arrivata alla conclusione che occorre un’azione riformatrice che, da un lato, incentivi l’impiego del risparmio privato a favore del sistema imprenditoriale italiano e, dall’altro, semplifichi le modalità di imposizione fiscale sul risparmio stesso.

Secondo l’associazione è necessario andare oltre i Pir «ipotizzando un’ulteriore forma di incentivo che considera una riduzione dell’imposizione in dipendenza della durata dell’investimento: si potrebbe, pertanto, prevedere un’aliquota decrescente, arrivando ad equipararla alla tassazione agevolata del 12,5% sui titoli di stato ed eventualmente azzerandola dopo un arco temporale particolarmente lungo (15 anni)».

Questa, in estrema sintesi, la proposta principale che potrebbe valere la pena di considerare non fosse altro perché il risparmio investito attraverso i private banker è in costante crescita contrariamente a quanto avviene per la restante parte delle risorse delle famiglie.