Finanza e Risparmio

Stretta sul credito alle imprese ma tiene il Fondo di garanzia

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di Mariarosaria Marchesano

Se non è già un credit crunch gli assomiglia parecchio. La contrazione dei prestiti bancari alle imprese è un dato di fatto stando ai dati forniti quasi in tempo reale dal Fondo centrale di garanzia, strumento che, gestito dal Mediocredito centrale, è stato utilizzato dal governo italiano per far arrivare gli aiuti pubblici al sistema produttivo durante il periodo pandemico. Anzi, si può tranquillamente dire che l’economia del Paese negli ultimi due o tre anni – che ha evitato il collasso nel 2020-2021 e conosciuto una ripresa nel 2022 che è stata la più importante in Europa – è dipesa sostanzialmente dai finanziamenti garantiti dal Fondo centrale di garanzia.

Ebbene, proprio dall’andamento di questi prestiti si vede oggi una netta inversione di tendenza che rappresenta «un segnale di allarme», come spiega al Settimanale Francesco Salemi, amministratore delegato di Nsa, il principale intermediario creditizio tra il Fondo e le imprese.

Nel primo trimestre 2023 l’importo finanziato è stato di circa 11 miliardi rispetto ai 17,8 miliardi dello stesso periodo del 2022 e ai 26,8 miliardi del 2021 (il primo trimestre 2020 non fa testo essendo il periodo di scoppio della pandemia). «Il timore è che questo calo non sia dovuto solo alla contrazione fisiologica delle domande ora che la pandemia è superata, ma sia fortemente influenzato dalle restrizioni da parte delle banche nella concessione dei prestiti e dall’aumento esponenziale dei tassi d’interesse», osserva Salemi secondo il quale questo duplice scenario potrebbe rivelarsi una «combinazione fatale» per la sopravvivenza delle Pmi.

L’analisi svolta dall’ufficio studi di Nsa, evidenzia come dal 2020 al 2023 si siano persi circa 80 miliardi di finanziamenti garantiti. Considerando che la media è circa 200mila euro a prestito significa che circa 40mila imprese non hanno avuto accesso al credito garantito negli ultimi tre anni (il calo maggiore è avvenuto tra il 2021 e il 2022, nel momento in cui vi è stata una graduale uscita dal periodo di maggiore crisi Covid). Seguendo questo trend, e considerato come sono andate le cose nel primo trimestre, si può prevedere che quest’anno ci sarà una ulteriore contrazione pari a circa il 20 per cento dei prestiti erogati con la garanzia del Fondo rispetto al 2022. «I numeri saranno comunque quasi il doppio dei livelli pre-pandemia, segno della volontà indomita di investire», precisa Salemi.

Ma sarebbe un errore auspicare un ritorno alla normalità adesso, anche se l’Unione europea da tempo ha dato indicazione ai Paesi di uscire dal quadro di sostegno per tornare a una dinamica ordinaria di erogazione del credito.

«Le imprese non sono pronte a questo – aggiunge Salemi – in una fase in cui il Pil è in discesa e i tassi sono in salita. E non si vede perché occorra forzare la mano se lo strumento delle garanzie sui prestiti ha dimostrato di essere efficace, perché abbassa il rischio per il sistema bancario e grava in modo insignificante sui conti pubblici: la netta maggioranza dei prestiti viene erogata ad imprese che hanno i rating migliori e i casi di default sono molto bassi. Allora perché eliminare questo meccanismo di fiducia che ha prodotto ottimi risultati?”.

Secondo l’ad di Nsa, il Fondo oggi ha una dotazione finanziaria sufficiente per andare avanti (quindi non ha bisogno di essere ulteriormente rimpinguato dal Mef) e potrebbe addirittura fare di più aumentando dal 60 all’80 per cento la garanzia sui prestiti in modo da ridurre ulteriormente il livello di rischio per le banche in una prospettiva di contrazione economica.