Finanza e Risparmio

Tassi Bce fermi: perché Lagarde e i falchi non li vogliono tagliare

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Il wishful thinking (in italiano potremmo tradurlo in «pio desiderio») che da mesi anima analisti e mercati, ancora una volta è rimasto tale: per la Banca centrale europea non è ancora l’ora di avviare l’allentamento della politica monetaria, dopo la vertiginosa serie di rialzi anti-inflazione che in meno di due anni ha portato i tassi da zero al record nell’era dell’euro.

«Non siamo sicuri in modo sufficiente» del processo disinflazionistico in atto, sapremo di più ad aprile, ma ancora di più a giugno»

ha detto la presidente della Bce, Christine Lagarde. Dal Consiglio direttivo della Bce, riunito a Francoforte, è arrivato il responso che praticamente tutti si aspettavano, ossia la quarta conferma consecutiva dei tassi di interesse, che devono essere mantenuti agli attuali livelli elevati per raggiungere in modo sostenibile l’obiettivo di inflazione a medio termine del 2 per cento. Quindi il saggio di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali resta al 4,5%, quello sulle operazioni di rifinanziamento marginale al 4,75% e quello sui depositi presso la banca centrale al 4%.

Tagliate le stime su inflazione e crescita

Nonostante la «prudente decisione del Consiglio», l’Eurotower ha sottolineato il percorso in calo dell’inflazione: non solo dall’ultima riunione di gennaio del Consiglio è diminuita ulteriormente ma – si legge nel comunicato finale – «nelle ultime proiezioni degli esperti della Bce è stata rivista al ribasso, in particolare per il 2024, principalmente per effetto del minore contributo dei prezzi dell’energia. Gli esperti indicano ora che si collocherebbe in media al 2,3% nel 2024 (la precedente previsione era 2,7%), al 2,0% nel 2025 e all’1,9% nel 2026. Anche l’inflazione core è stata corretta al ribasso, a una media del 2,6% nel 2024, del 2,1% nel 2025 e del 2,0% nel 2026».

Ma Francoforte avverte poi che «nonostante l’ulteriore allentamento di gran parte delle misure dell’inflazione di fondo, le pressioni interne sui prezzi restano elevate anche a causa della forte crescita salariale». Quanto al Pil dell’Eurozona, la Bce ha tagliato «la proiezione della crescita per il 2024 allo 0,6%; l’attività economica dovrebbe rimanere moderata nel breve periodo, per poi crescere dell’1,5% nel 2025 e dell’1,6% nel 2026, sostenuta inizialmente dai consumi e in seguito anche dagli investimenti».

Occhio agli annunci dell’Eurotower

Al di là dei numeri, sono importanti le parole che i vertici dell’Eurotower usano per spiegare le loro decisioni, e che nel criptico linguaggio dei banchieri rivelano utili indizi sulle prossime mosse. La Banca centrale europea, a differenza della consorella americana Fed, non rivela mai chiaramente entità e numero di tagli (o di aumenti) che intende apportare, tantomeno le date, per evitare speculazioni nei confronti dei Paesi con maggiore instabilità finanziaria, più esposti a sbalzi dello spread. Lagarde ha avuto problemi quando ha detto qualche parola di troppo: l’ultima volta a Davos, lo scorso gennaio, quando ha aperto alla possibilità di una riduzione dei tassi in estate.

Ma si sente che il vento sta cambiando. L’inflazione core (che a differenza dell’inflazione headline, cioè generale, non comprende alimentari ed energia, soggetti a maggiori oscillazioni, ndr) «rimane elevata». Fanno notare gli analisti di Schroders, Azad Zangana e George Brown:

«Ciononostante, le banche centrali hanno progressivamente modificato il tono delle loro comunicazioni abbandonando i segnali aggressivi e ponendo maggiore enfasi sui rischi al ribasso per la crescita. Si tratta di un chiaro segnale di svolta della politica monetaria in relazione a un probabile taglio dei tassi d’interesse».

E ora Lagarde ribadisce:
1) i tassi attuali stanno dando un contributo sostanziale alla disinflazione;
2) l’inflazione calerà ancora;
3) i tassi saranno fissati a livelli sufficientemente restrittivi per tutto il tempo necessario;
4) la politica seguirà un approccio dipendente dai dati. Tradotto: le decisioni assunte finora stanno producendo l’effetto desiderato,  non ci saranno più aumenti, il taglio si avvicina ma bisogna avere pazienza, appelli e pressioni di mercati e governi non ci influenzano perché saranno le statistiche a dirci quando è ora di tagliare. E qui per la seconda volta è uscito “giugno”.

Perché Francoforte ancora non vuole tagliare

La Banca centrale vuole evitare nuovi errori, dopo quello – cruciale – di aver sottovalutato all’inizio l’inflazione, la cui risalita due anni fa venne derubricata come «temporanea». E sarebbe un altro errore iniziare a tagliare i tassi troppo presto o troppo bruscamente, con il rischio di far ripartire il carovita, che nella peggiore delle ipotesi potrebbe costringere le autorità monetarie a nuovi aumenti. Ma anche tagliarli troppo tardi comporta alti rischi, come un hard landing dell’economia, con la recessione in agguato.

Gli esperti hanno sezionato gli ultimi dati dell’inflazione, e qualche segnale negativo c’è: a febbraio è scesa al 2,6% su base annua dal 2,8% di gennaio, un po’ più alta rispetto alle attese. Spiega Tomasz Wieladek, economista di T. Rowe Price:

«L’inflazione core, il miglior indicatore di inflazione a medio termine, è scesa solo al 3,1% a febbraio dal 3,3% di gennaio. Mentre l’inflazione di base dei beni continua a essere debole, è preoccupante la dinamica dell’inflazione dei servizi destagionalizzata che è salita allo 0,51%… Nelle indagini congiunturali gli indici dei prezzi dei servizi sono aumentati per il quarto mese consecutivo e sono a livelli significativamente superiori a quelli necessari per raggiungere l’obiettivo di inflazione. Le pressioni salariali, fattore chiave dell’inflazione dei servizi, rimangono troppo forti. L’indicatore dei salari negoziati dalla Bce è salito al 4,5%»

Le variabili da tenere in conto sono tante. Si è ridotta l’inflazione legata all’energia, avverte Lagarde,

«ma la crisi in Medio oriente potrebbe spingere verso l’alto i prezzi»

Ancora, gli analisti di Schroders stimano che il livello del carovita scenderà sotto al target del 2% annuo, ma «è probabile che il miglioramento della domanda interna faccia aumentare nuovamente le pressioni inflazionistiche: si prevede che l’inflazione salirà dal 2,1% nel 2024 al 2,8% nel 2025, un valore che non verrà visto di buon occhio dai policymaker».

Falchi e colombe

«Non abbiamo discusso di tagli in questa riunione» ha risposto a un giornalista Lagarde, che però ha ammesso “abbiamo iniziato” a ragionare sull’argomento. Nonostante lei ripeta da tempo che c’è concordia in seno al board dell’Eurotower sulle decisioni, i governatori delle differenti banche centrali nazionali hanno idee molto diverse sulla tempistica con cui vanno ridotti i tassi. Nel variegato zoo della finanza che già contempla espressioni come toro (per indicare un mercato in espansione), orso (Borse in caduta), unicorno (aziende che raggiungono 1 miliardo di valore) e cigno nero (evento imprevedibile), ci sono anche i falchi e le colombe. Ossia i fautori di due approcci opposti in materia di politica monetaria: linea restrittiva contro scelte accomodanti.

E nel consiglio direttivo della Bce si leva più alta la voce dei falchi rigoristi, i Paesi del nord Europa guidati dal governatore della Banca olandese Klaas Knot, nemico giurato delle politiche economiche espansive mantenute per 15 anni da Francoforte. Lagarde a Davos, dove si è tenuto il World economic forum, ha suscitato non pochi malumori. «È troppo presto per parlare di taglio dei tassi» aveva risposto subito il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel. E anche il numero uno della Banca centrale austriaca, Robert Holzmann, aveva stoppato l’ipotesi di un allentamento già la prossima estate, sostenendo che i tassi potrebbero addirittura restare invariati per tutto il 2024. Tra le colombe, i Paesi mediterranei, si annovera il governatore della Banca centrale di Francia, Francois Villeroy de Galhau: «La prossima mossa sarà un taglio» che dovrebbe arrivare «probabilmente quest’anno».

La ridda di previsioni

Che succederà ora? Se la Bce parla solo con le sue criptiche comunicazioni ufficiali, ci pensano economisti, esperti, analisti a riempire il vuoto: con report pressoché quotidiani si esercitano in stime su numero, entità e date dei tagli, (non proprio omogenee, occorre riconoscere). Stando alle ultime indicazioni, i mercati finanziari stanno già prezzando una diminuzione dei tassi della Bce nei prossimi due anni, con alcune previsioni che indicano tagli di 50-75 punti base nel 2024, seguiti da un’accelerazione all’inizio del 2025. Tuttavia, alcuni analisti più ottimisti stimano tagli di Francoforte per 130 punti base già nel corso di quest’anno. L’inizio dei tagli? Anche i più fiduciosi si stanno arrendendo: addio aprile, sempre più probabile giugno. L’ultima analisi di Goldman Sachs prevede «tagli consecutivi fino al raggiungimento del tasso terminale del 2,25%. Lo scenario di riferimento prevede ora 5 tagli nel 2024 (contro i 6 precedenti) e 2 tagli nel 2025 (contro 1 in precedenza)».

Secondo Pimco, invece, «una volta che la Bce inizierà a tagliare i tassi, crediamo che procederà con cautela, con convenzionali step di 25 punti base. Ci aspettiamo tre tagli dei tassi quest’anno, a partire da giugno o più avanti». La chiave, per tutti, sarà l’andamento dei salari.