Inchieste

Aziende familiari sui mercati globali: scivolano sulla staffetta padre-figlio

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di Francesca Lucente

Il passaggio generazionale è una fase importante che molte Pmi si trovano ad affrontare, in questo delicato periodo, dovendo fare i conti con molte variabili. Tra queste, da un lato vi sono il passaggio patrimoniale e gestionale mentre, dall’altro, bisogna fare i conti con esigenze di carattere personale che influenzeranno, inequivocabilmente, il nuovo imprinting manageriale. Quel che potrebbe apparire come un simbolico passaggio del testimone, di padre in figlio, rappresenta un punto critico di snodo dei binari che molte imprese a carattere familiare.

Lo scenario italiano

Il ricambio generazionale è un fenomeno che investe l’intero tessuto industriale del nostro Paese, visto che le imprese a conduzione familiare sono stimate all’85% di quelle attive. Come ha evidenziato The European House-Ambrosetti in occasione del convegno “Continuità generazionale, governance e tutela del patrimonio delle famiglie imprenditoriali”, si tratta di imprese che generano da sole l’80% del Pil del Paese, con il 75% degli occupati.

Il fenomeno riguarda in particolare le imprese più piccole e meno strutturate: in Italia le le microimprese con meno di 10 addetti ammontano a circa 4 milioni e rappresentano il 94,8% delle imprese attive: per almeno il 25% di queste attività imprenditoriali, vale a dire quasi 1 milione, a cui è ricondotto un giro d’affari pari a 55 miliardi di euro – secondo un report del Centro studi di Unimpresa – la successione da genitore a figlio è un serio impedimento per la continuità aziendale, a causa di ostacoli culturali, burocratici, fiscali e finanziari.

Un fenomeno che caratterizza tutte le regioni: in Veneto, ad esempio, tra il 2010 e il 2020, la quota di leader under 50 ha subito un netto calo passando dal 27% all’11%. È sempre nelle province venete che il 77,7% delle imprese con oltre tre addetti (oltre 80.900 aziende), è controllata da una persona fisica o da una famiglia.

Secondo gli ultimi dati Istat del Rapporto sulle Imprese, tra il 2013 e il 2023, in Italia un quinto delle attività (esattamente il 20,6%), ha affrontato o affronterà a breve il passaggio generazionale. Dato confermato nelle previsioni fatte da FFI – Family Firm Institute – secondo cui nei prossimi 5 anni il ricambio generazionale riguarderà proprio un’azienda familiare su 5.  Le previsioni non sono rosee: si stima che solamente il 20% delle imprese familiari sopravvive alla seconda generazione, un ristretto 13% arriva alla terza generazione e un risicato 4% è la quota di aziende italiane che arriva sino alla quarta generazione.

Alle Pmi serve una pianificazione

Elena Zambon, presidente del Gruppo Zambon, colosso farmaceutico attivo dal 1906, è Presidente Onorario di AldAf, associazione delle aziende familiari italiane che sotto il suo cappello raccoglie oltre 200 tra aziende e persone fisiche associate: «Le imprese familiari – afferma – costituiscono l’ossatura produttiva del nostro Paese. AIdAF partecipa con il proprio impegno a sostenere gli sforzi che gli imprenditori stanno facendo per far ripartire l’economia italiana». A maggio 2023 è stata eletta Presidente Cristina Bombassei (Consigliere e Csr Officer di Brembo): «Ci aspettano molte sfide – dichiara – dai passaggi generazionali, con particolare attenzione ai giovani e al loro ruolo nella società e nell’impresa, alla competitività internazionale; dalla doppia transizione, ecologica e digitale, alla governance virtuosa; le accolgo tutte con spirito positivo e propositivo certa di poter contare su un Consiglio Direttivo fatto di imprenditrici e imprenditori straordinari».

Per gestire questa delicata transizione occorre saper affrontare una serie di aspetti differenti: gestionali, fiscali, societari, psicologici e, soprattutto, familiari. I figli dell’imprenditore possono essere intenzionati ad assumere un ruolo attivo nel family business direttamente oppure dopo studi ed esperienze anche fuori dal territorio; altri invece possono non essere interessati a seguire le orme del proprio padre/nonno/bisnonno. Oltre a capire per tempo quando è il momento di passare il testimone, l’imprenditore deve saper distinguere tra azienda e famiglia: e quindi comprendere chi tra i propri eredi abbia le caratteristiche ideali per prenderne le sorti e traghettarla nel futuro. Agendo al tempo stesso per prevenire possibili liti.

Sicuramente le imprese necessitano di un piano  e devono strutturarlo in anticipo affinché garantisca la continuità aziendale. A prescindere dal fatto che si tratti di un passaggio di tipo volontario, cioè deciso dall’imprenditore uscente che ha volontà di designare il suo successore; di tipo dinamico, cioè basato sui successi professionali dell’erede che gode quindi di piena fiducia; o di tipo traumatico, ad esempio in seguito al decesso del fondatore.

Nei primi due casi, quando il dirigente o fondatore che vuole ritirarsi volontariamente, ed è quindi in vita, le clausole relative alla designazione del futuro manager possono essere contemplate, ad esempio, in una modifica all’atto costitutivo deliberata dai soci unanimi. Qualora, invece, l’evento sia regolamentato da una successione, ovvero in caso di decesso del titolare o socio di maggioranza, entra in gioco l’art. 2284 del Codice civile. Che concede agli eredi la facoltà di proseguire nell’attività d’impresa o optare per la liquidazione.

Rischi e strumenti

In previsione di uno o dell’altro scenario, fare un business plan si rivela uno strumento utile. Fare un piano su più periodi di esercizio rappresenta una buona prassi per fare delle previsioni di carattere finanziario ed economico, tracciando, al contempo, una sorta di linea guida per il futuro manager entrante.

Tra i rischi ed errori ricorrenti del passaggio generazionale più comuni a cui un’impresa va incontro vi sono la sotto-capitalizzazione, cioè quando il capitale di rischio è inadeguato rispetto alle reali esigenze economiche e gestionali, e un sovradimensionamento strutturale e organizzativo, derivante da una stima della produzione e delle scorte di magazzino arbitraria. Tutti fattori che si ripercuotono sulla stabilità finanziaria di un’azienda, intaccandone anche la credibilità e, in ultimo, il merito creditizio elargito dagli istituti bancari.

Un altro indicatore che impatta fortemente sulla liquidità aziendale durante la transizione generazionale sono i giorni di pagamento da parte dei debitori. In ottica di preservare la continuità aziendale, è fondamentale monitorare i processi di credit management, prevenendo quelli che possono essere situazioni di default debitorie, ad esempio con la stipula di un’assicurazione del credito d’impresa.

Come programmare il passaggio generazionale d’azienda

A seconda delle situazioni e della compagine di eredi, qualora non si tratti di una singola persona, nonché dell’interesse o meno di ciascuno di partecipare alla gestione d’impresa, sono diversi gli istituti con cui pianificare il passaggio di testimone da una generazione all’altra. Ad esempio, la donazione di nuda proprietà, che consiste in un atto tramite cui il fondatore preserva la proprietà delle quote e l’usufrutto dell’azienda, pur assegnando la proprietà dell’azienda a un successore. In particolare, l’usufrutto è a vantaggio del fondatore che può, appunto donare la proprietà ad una o più persone, dopo sé stesso, sebbene “non successivamente”, come recita l’art. 796 del Codice civile.

Si tratta di un istituto che può favorire una transizione graduale in quanto gli altri soggetti interni coinvolti – come i soci – o esterni possono abituarsi e approcciarsi gradualmente alla figura e alla gestione di prossima entrata.

Differenti possono essere i casi in cui sia più confacente ricorrere a un trust. Una soluzione che può includere dei beneficiari a cui devolvere quote aziendali, nell’evenienza di premorienza del fondatore e, secondo cui, un trustee designato possa eleggere un dirigente per accompagnare la prosecuzione dell’attività aziendale, in base a un regolamento predefinito. Sempre il trustee designato dal trust potrà gestire un’eventuale fenomeno di deriva generazionale, cioè la possibilità che insorgano conflitti familiari per la conduzione dell’attività aziendale di famiglia.

Le imprese familiari motore dell’economia

Sono molte le soluzioni ma, soprattutto, le scelte preventive che possono essere messe in atto dalle Pmi a conduzione familiare per prevedere e pianificare un importante cambio generazionale. Un ponte che garantisce, oltre alla continuità, anche la sostenibilità economica e sociale del territorio italiano che è fortemente caratterizzato da questo imprinting manageriale.

Previsioni rincuoranti sulla ripresa post pandemia giungono dal XIV Rapporto dell’Osservatorio Aub (promosso in collaborazione dalla Cattedra Aidagf-Ey di Strategia delle aziende familiari dell’Università Bocconi, Aidaf, UniCredit, Fondazione Angelini, Borsa Italiana e dalla Camera di commercio di Milano Monza-Brianza Lodi). Oggetto di analisi sono 11mila imprese familiari con fatturato superiore a 20 milioni dei settori servizi e manifatturiero, in base all’età dei consiglieri, quote rosa e partecipazione al management di soggetti familiari e non. Il fatturato di queste aziende è cresciuto nel 2021 del 20% rispetto all’anno prima, mentre il Roe ha più che recuperato i livelli del 2019 raggiungendo il 10,5%.

«La fotografia dell’Osservatorio AUB ci conferma come, nel biennio 2021-22, la ripresa dell’Italia sia stata molto più rapida rispetto a situazioni di crisi del passato e come le aziende familiari italiane siano state, anche in questi anni, la forza trainante dell’imprenditoria del made in Italy» commenta Massimiliano Mastalia, Head of Wealth & Large Corporates UniCredit.

«Se guardiamo alle aziende familiari quotate in Borsa, si evidenzia come la presenza sui mercati dei capitali abbia favorito una ripresa ancora più robusta rispetto alle società non quotate. Nel contesto attuale è importante avvicinare le imprese al mercato dei capitali e agevolare l’accesso a fonti di finanziamento che garantiscano una crescita sostenibile nel lungo periodo. È in questa direzione che si muove l’impegno di Euronext che, attraverso programmi pre-IPO e piattaforme dedicate, vuole accompagnare le aziende anche nel miglioramento della cultura aziendale e della governance» osserva Barbara Lunghi, Head of Primary Markets Borsa Italiana.

Anche il mercato del lavoro si muove in una direzione sempre più a sostegno delle Pmi italiane nella fase di traghettamento in una nuova era del lavoro svolto dai fondatori. Sono sempre più richieste e presenti le figure professionali, dagli studi legali ai Temporary manager. Al di là di tutelare gli aspetti legali e fiscali, pianificare il cambio manageriale con il supporto di uno studio legale serve ad arginare le sensazioni di incertezza che si potrebbero creare tra collaboratori e dipendenti, tipiche di un importante cambiamento, oltre alla possibile dispersione di saperi e risorse.

 

«Più generazioni in azienda? Bisogna riconoscere le differenze»

Salvatore Sciascia (Liuc): in un’impresa intergenerazionale i risultati economici sono migliori. Ma oggi la distanza padre-figlio è enorme, tecnologia e ascensore sociale hanno cambiato tutto

di Paolo Cova

C’è chi si presenta con penna e bloc notes; chi col tablet o col pc portatile; chi con lo smartphone, magari per registrare un audio e/o per non staccarsi dagli amati social; chi non si presenta nemmeno e segue il tutto a distanza, in call. La classica riunione di lavoro rappresenta ormai plasticamente le diverse generazioni presenti in azienda e il loro modo diverso di approccio alle attività di lavoro.

La compresenza di più generazioni è una opportunità o un ostacolo per un’impresa? E come gestirla? Ne abbiamo parlato con Salvatore Sciascia, professore ordinario di Economia aziendale presso la Liuc (Libera università Carlo Cattaneo) di Castellanza. 

Professore, come gestire la presenza di diverse generazioni in azienda?

Innanzitutto direi che, tecnicamente, più di tre generazioni (nonni-padri-nipoti) è difficile che convivano in un’azienda familiare. Per di più si tende a fare figli sempre più tardi e quindi tre generazioni in contemporanea sarà sempre più difficile averle. Piuttosto, ci sono molti casi in cui convivono fratelli e sorelle, coi relativi partner (mogli, mariti e quindi cognati). Nella realtà il modello più diffuso è la convivenza di due generazioni. Il che è già complesso, ma tutto sommato gestibile. Nelle aziende non familiari può capitare che si vada oltre le tre generazioni, comprendendo tutto il personale. Naturalmente sto parlando di coinvolgimento generazionale (due o più generazioni che convivono in azienda), non di stadi generazionali (cioè: più generazioni che si succedono in azienda, come ad esempio gli Agnelli nella Fiat).

I giovani sono interessati a entrare nell’azienda di famiglia?

Una ricerca del Fabula (Family Business Lab, di cui Sciascia è co-direttore, ndr) e del Cyfe dell’Università di Bergamo ha chiesto a studenti che fossero anche figli di imprenditori che intenzioni avessero a 5 anni dalla loro laurea. Il risultato è stato per certi versi preoccupante per quelle famiglie che puntano alla continuità imprenditoriale: in Italia, solo 1 studente su 10 ha intenzione di entrare nella propria impresa familiare entro 5 anni dalla fine degli studi universitari. La maggior parte dei figli di imprenditori sembrano essere orientati verso una carriera da dipendente o verso il lancio di una nuova impresa. Vero è che magari la vocazione può arrivare più tardi, lontana dai banchi delle università, dopo avere fatto qualche anno di esperienza da dipendente o da imprenditore (il che è molto importante), ma in ogni caso il messaggio sembra chiaro. E non si tratta di un allarme tutto italiano perché la percentuale all’estero è persino più bassa”.

Al di là delle aziende familiari, i giovani come si atteggiano davanti all’impresa?

I neolaureati sono la cosiddetta generazione Z, i digitarians. Nativi digitali, non conoscono il mondo pre-internet. Sono meno attirati dal salario e dalla stabilità, più interessati  a star bene con se stessi. I loro padri, i baby boomers, vivevano per lavorare, loro questo non lo concepiscono. In azienda si devono sentire coinvolti dal leader e dal purpose (la mission) aziendale. 

Dunque cambia anche il welfare che interessa loro…

Certo. Una volta si puntava al contratto a tempo indeterminato, sinonimo di sicurezza. Oggi loro sono più attenti alla work-life balance: lavoro, faccio quello che mi basta ma poi devo andare in palestra, fare yoga, avere il mio tempo, poter pianificare il mio futuro. Dunque orari flessibili, convenzioni con enti esterni, agevolazioni. Certo, non bisogna generalizzare. Ci sono anche giovani che, nel bisogno, pur di lavorare non fanno tanti distinguo.

Le imprese intergenerazionali performano meglio?

Direi di sì. I risultati economici e finanziari in genere sono migliori, c’è maggior capacità di sviluppare nuovi progetti e di crescere. Se si riescono a tenere insieme le diverse generazioni, i risultati arrivano. Diversamente, la multigenerazionalità può diventare una debolezza, possono nascere conflitti. La presenza di diverse generazioni in azienda è una ricchezza, aiuta a capire il mondo. Conviene all’imprenditore cercare di far convivere bene le diverse generazioni. Nelle aziende familiari ci sono gli strumenti per farlo (accordo di famiglia, consiglio di famiglia). Nelle altre aziende vale sempre il principio secondo cui, se la comunicazione funziona, si lavora meglio. Ad esempio in una Pmi, non molto strutturata, un giovane che entra può anche trovare difficoltà con i colleghi di generazioni precedenti. In mancanza di comunicazione è facile che nascano conflitti. Se l’azienda è fortemente digitalizzata il giovane che entra sarà più a suo agio.

Quali strumenti si possono mettere in campo?

Per favorire il dialogo intergenerazionale servono, in generale, capacità di ascolto, atteggiamenti disponibili, riconoscimento delle differenze, che vanno valorizzate. La distanza tra padri e figli oggi è enorme. Cent’anni fa i figli davano del voi al padre, ma la distanza culturale non era molta, si stava nella propria classe. Oggi la tecnologia e l’ascensore sociale hanno cambiato tutto. Il figlio del panettiere può diventare astrofisico e viceversa. La questione intergenerazionale è più sentita che cent’anni fa”.