Inchieste

Benvenuti nell’era della casa impossibile

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di Federico Momoli

«Santa Cristina, pensaci tu!». Cristina è Christine Lagarde, la presidente della Bce, che dopo essersi guadagnata strali e improperi di famiglie e imprese di tutta l’area euro per i dieci rialzi consecutivi dei tassi, ora è diventata la persona cui rivolgere le suppliche affinché dopo due anni si possa finalmente vedere qualche ribasso a breve. La speranza generale è alimentata dal fatto che a metà dicembre madame ha lasciato per la seconda volta i tassi fermi (al 4,5%), un segnale che gli addetti ai lavori hanno interpretato e sezionato con attenzione per capire le mosse future della Banca centrale europea (si veda l’analisi nelle pagine successive). Bisogna solo augurarsi che per vedere il primo benedetto taglio non si debba aspettare il 24 luglio 2024, il giorno di Santa Cristina: i bilanci di moltissime famiglie con un mutuo a tasso variabile, come pure quelli delle imprese che hanno ottenuto finanziamenti dalle banche, sono allo stremo, e l’affermazione di rito della capa dei banchieri dell’Eurozona secondo cui «i tassi resteranno alti ancora a lungo, la battaglia contro l’inflazione non è ancora vinta» non è rassicurante.

A voler essere ottimisti a tutti i costi, i primi piccoli e timidi segnali distensivi sul fronte del caro-tassi ci sono. Al di là degli immancabili inviti alla prudenza della Lagarde, i mercati sembrano incoraggiare le speranze: l’IRS, indice di riferimento per la determinazione dei mutui a tasso fisso, ha mostrato un calo significativo, 70-80 punti dai massimi di ottobre, proprio scontando l’inversione della politica monetaria ultrarestrittiva della Bce nel 2024. Un fenomeno che ha spinto tutte le banche a far calare i tassi dei mutui fissi a dicembre. Gli operatori stimano che una contrazione media di 30 punti in un mese si traduce in una riduzione della rata di circa 25 euro su un nuovo mutuo da 150.000 euro da rimborsare in 30 anni, vale a dire 6mila euro l’anno. A beneficiarne per ora sono però solo i mutui a tasso fisso, e per di più solo i nuovi, quelli cioè di chi si deve ancora comprare casa; esclusi i mutui già in essere (in quanto a tasso fisso, nulla cambia).

Appesi all’Euribor

Per tutti gli altri solo speranze. L’Euribor, cui sono legati i prestiti immobiliari a tasso variabile, finora è rimasto fermo. Le proiezioni dei futures suggeriscono una potenziale diminuzione dell’indice dal 3,93% attuale al 3,68% a marzo 2024, con un previsto calo al 2,68% entro dicembre, stando alle stime di Facile.it. Se ciò si verificasse, la rata di mutuo medio potrebbe passare da 750 euro a 731 euro entro marzo del 2024 e scendere a 660 euro a dicembre.

Uscendo dal condizionale e tornando al presente, i tassi restano insostenibili, al livello più alto nell’era dell’euro. I numeri usciti alla spicciolata negli ultimi giorni rendono l’entità e l’urgenza della situazione. Secondo un’indagine commissionata sempre da Facile.it a mUp Research e Norstat, quasi 200mila famiglie italiane con un mutuo variabile non sono riuscite a rimborsare una o più rate nell’ultimo anno, a causa degli aumenti dell’importo: per un finanziamento medio da gennaio 2022 a oggi le rate sono cresciute fino al 65%, con un aggravio complessivo di oltre 3.100 euro. E sempre secondo la rilevazione, tra chi ha un mutuo indicizzato quasi uno su 2 ha dichiarato che potrebbe avere «seri problemi» con i pagamenti se le rate rimarranno a lungo su questi livelli. Per alleviare la situazione, il 4% ha allungato la durata del finanziamento, il 21% ha dichiarato di aver rinegoziato le condizioni con la propria banca, un altro 7% ha puntato sulla surroga. Possibilità, queste ultime, non concesse a tutti, visto che le banche stanno diventando più selettive: un quarto ha provato a rinegoziare le condizioni con la propria banca, ma non c’è riuscito, un altro quarto ha chiesto invano la surroga.

A rischio tutte le fasce  a reddito medio-basso

L’Osservatorio SalvaLaTuaCasa, realizzato da Nomisma con il contributo di Save Your Home, amplia la fotografia a tinte fosche: «Su 3,5 milioni di famiglie con un mutuo in corso, per un valore di oltre 430 miliardi di euro, più del 36% ha un mutuo a tasso variabile – si legge nello studio – e in questo caso la rata raggiunge livelli di allerta per tutte le fasce medio-basse di reddito, fino a 1.900 euro netti mensili, con un peso che arriva a superare il 60% del reddito netto di queste famiglie». La prassi delle banche prevede che un mutuo venga tarato su una rata non superiore a un terzo del reddito netto famigliare, ma i forti rialzi della Bce hanno scombussolato tutti i calcoli: un vero tsunami finanziario che ha travolto i piani di ammortamento dei mutuatari, soprattutto di chi deve ancora onorare più della metà degli anni di contratto.

Con pericolosi effetti collaterali, come avvertono le associazioni dei consumatori: gli italiani hanno intaccato i risparmi, cala la propensione al risparmio e esplode il fenomeno del sovraindebitamento (che a sua volta spinge il rischio usura). Secondo il Sole 24 Ore, rischia di esplodere il numero di famiglie in difficoltà a causa di mutui ormai fuori controllo: un’analisi realizzata con SalvaLaTuaCasa rivela che i contratti a rischio ammontano a quasi 500mila, con un valore complessivo di credito prossimo ai 60 miliardi di euro; la soglia critica è stata fissata al superamento del 50% come rapporto tra l’importo della rata e il reddito disponibile della famiglia.

Stretta sul credito, su le aste immobiliari

Una crisi che coinvolge tutti, chi prende soldi in prestito e chi glieli dà. Rischia di frenare, se non di interrompersi, la riduzione del tasso di deterioramento dei mutui delle famiglie, registrata negli ultimi dieci anni (hanno aiutato le moratorie varate nel periodo Covid). In assenza di misure efficaci, potrebbe peggiorare la rischiosità del credito, con impatti negativi sia per le famiglie sia per gli istituti di credito. «Per difenderci da questa emergenza – ha sottolineato Gianfranco Dote, ceo di Save Your Home – invitiamo la politica e gli istituti di credito a considerare nei processi di smaltimento del debito lo strumento della cartolarizzazione a valenza sociale, per trasformare un debitore insolvente in un debitore solvibile». Uno strumento che in sostanza prevede, su istanza dei debitori e contestualmente alla cessione dei crediti, il trasferimento degli immobili posti a garanzia di quei crediti a una società immobiliare “veicolo d’appoggio” e la loro concessione in locazione agli originari debitori: così si proteggono le famiglie in difficoltà con il debito contratto, garantendo loro di rimanere in affitto nella stessa casa.

La prospettiva di tassi elevati nel lungo periodo potrebbe portare a una serie di contratti saltati nei prossimi mesi, con il rischio concreto di procedimenti di esecuzione immobiliare dopo sei rate non pagate. Si prevede un aumento del 10% delle aste immobiliari nel 2024 rispetto all’anno corrente, con un numero di operazioni compreso tra 160 e 180mila. Ma va sottolineato che le aste immobiliari hanno effetti negativi per le banche e le famiglie (che vendono) maciullando il valore delle case. La società fintech Reviva ha confrontato i prezzi con quelli richiesti sul mercato: nel residenziale in asta mediamente gli immobili vengono messi in vendita a 700 euro al metro quadro contro un valore di 1.970 sul mercato nazionale. Non un confronto scientifico tra immobili e località omogenei, ma piuttosto eloquente. Iter delle aste lunghi e costosi riducono ulteriormente il ricavato, lasciando ampie quote di scoperto a danno di creditori e debitori.

La difficoltà crescente di accedere a un mutuo, alla luce della “prudenza” delle banche, chiude il cerchio. In volume i prestiti sono diminuiti del 29% nel corso del 2023 (dato Abi), come evidenzia il rapporto di Nomisma sul mercato immobiliare, decretando una netta frenata delle compravendite, in calo del 13%. Molte famiglie si orientano verso l’affitto, non riuscendo più a comprar casa anche a causa dell’erosione dei redditi disponibili innescata dall’inflazione. Oltre un quinto delle famiglie, rivela ancora Nomisma, vede il mutuo come un miraggio. E Banca d’Italia, con un sondaggio congiunturale sul mercato delle abitazioni nel relativo al terzo trimestre, rivela che gli agenti immobiliari hanno definito l’accesso al credito in questo momento “particolarmente difficile”, con una congiuntura negativa che non si verificava da dieci anni: il 34,4% degli acquirenti non riesce ad ottenere il mutuo. La quota di compravendite finanziate con un prestito ipotecario infatti è scesa al 63,4%, il valore più basso dal 2014.

Oltre l’emergenza

«Se il 2023 può essere considerato l’inizio della metafora della ‘casa impossibile’ – ha dichiarato Marco Marcatili, chief development officer di Nomisma – è necessario che gli attori pubblici e privati, finanziari e sociali, gestori e investitori, si sentano chiamati in causa per dare una risposta concreta a una vera e propria emergenza nazionale, attivandosi per promuovere strumenti innovativi e di sostegno necessari ad avviare un percorso verso un abitare evoluto». La sfida per i prossimi anni sarà «costruire soluzioni dedicate e una proposta di accesso al credito molto più sartoriale in relazione alle diverse condizioni familiari, in alcuni casi anche integrata da una proposta di gestione degli immobili e sostenuta da nuovi strumenti pubblici di garanzia del credito in grado di abbassare gli scaloni in ingresso per le famiglie».

Che fare, intanto? L’Abi, l’associazione delle banche, ha promosso tra gli associati l’adozione di misure in favore delle famiglie incastrate nei mutui variabili, come l’allungamento del piano di ammortamento o l’ampliamento della platea dei beneficiari della rinegoziazione dei contratti. Resta anche la possibilità di congelare il pagamento mensile accedendo al Fondo di sospensione mutui per l’acquisto della prima casa: il cosiddetto fondo Gasparini consente di sospendere fino a 18 mesi le rate e allungare il periodo di ammortamento (in 10 anni 262.900 i mutui sospesi). E soprattutto sperare che la Banca centrale di Francoforte, guidata dall’inflessibile Lagarde, acceleri il prima possibile i tagli dei tassi. Tardi per un regalo di Natale, speriamo a Pasqua.

Da agio a disagio: tutti i costi pesano troppo per il 75% degli italiani

Il legame degli italiani con il mattone resta ancora molto forte. Un pilastro della sicurezza economica, e non solo: l’83,2% considera la proprietà della casa in cui vive un fattore di stabilità. Ma da sogno rischia di trasformarsi in un incubo, visto che i costi cominciano a pesare troppo per il 75% delle persone e l’accesso alla proprietà è diventato più difficile per quasi il 60% degli aspiranti proprietari. Sono alcuni dei dati emersi dal recentissimo Rapporto Federproprietà-Censis «La casa nonostante tutto». Per il 78,4% degli italiani la casa è espressione della propria identità e della propria personalità, per il 69,1% è un investimento sempre sicuro e il 50,0% dei proprietari dichiara che non venderà mai la propria abitazione perché vuole tramandarla in eredità ai figli o ai nipoti.

Convinzioni però messe a dura prova dall’onerosità di acquisto e mantenimento. Non solo per il caro tassi, ma anche per spese relative a condominio, bollette e tasse. Senza contare l’ulteriore incognita della liberalizzazione dell’energia e l’addio al mercato tutelato. Last but non least, il ciclone che potrebbe abbattersi tra non molti anni con la direttiva europea sulle case green, che imporrà a milioni di famiglie interventi cospicui per portare le loro abitazioni al livello di efficienza energetica richiesto da Bruxelles. Il Rapporto evidenzia che tre italiani su quattro sono a conoscenza del tema, e per il 51,1% la direttiva è un atto positivo, ma il 22% teme che la sua applicazione possa tradursi in un ulteriore aggravio dei costi di gestione degli immobili. Non solo: il 16,3% dei proprietari prevede che gli interventi non saranno economicamente sostenibili. In effetti, le stime circolate nei mesi scorsi parlano di costi per 40-60mila euro in media per appartamento (che salgono a oltre 100mila euro se agli interventi di efficientamento energetico si sommano quelli per il miglioramento sismico). Così il 90,2% degli italiani ritiene che gli interventi dei proprietari debbano essere accompagnati da aiuti economici dello Stato sotto forma di detrazioni, incentivi, altre misure di sostegno.

Neanche a dirlo, la situazione sta colpendo soprattutto i giovani. L’accesso alla proprietà della prima casa è diventato più difficile, continua il rapporto: il 59,8% dei non proprietari afferma che il rialzo dei tassi di interesse ha reso più oneroso e complicato l’eventuale acquisto di un’abitazione. Percentuale che sale al 61,9% per i 18-34enni, un po’ meno per le persone di 65 anni e oltre (il 50,8%). E ancora, il 75,5% degli italiani dichiara che le spese relative alla casa (condominio, tariffe, tasse) pesano molto sul proprio budget familiare. La percentuale sfiora l’80% tra le famiglie con redditi bassi e scende al 57,6% tra quelle più abbienti. Sentono molto il peso dei costi della casa sul proprio budget il 73,4% dei residenti nel Nord-Ovest, il 70,9% nel Nord-Est, il 79,0% al Centro e il 77,8% nel Sud. La gestione della casa si fa nel complesso più gravosa e la sua proprietà rischia di trasformarsi da fattore di tutela in fattore critico: il 60,8% delle persone a rischio di povertà detiene la proprietà della casa in cui vive.