Inchieste

Business della transizione green: chi paga e chi ci guadagna

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di Francesco Bertolini – Docente SDA Bocconi e presidente Brands4sustainability

SDG’s, ESG, economia circolare, carbon footprint etc. sono alcuni dei mantra che ormai ammantano la vita delle aziende, e, attraverso la comunicazione, quella di tutti noi.

Oltre alle sigle, i numeri spiegano bene la direzione che si sta prendendo; si stima che gli investimenti con criteri Esg (Environment, Social, Governance) passeranno dagli attuali 18,4 trilioni di dollari ai 33,9 nel 2026, secondo una ricerca di Price Waterhouse asset and wealth management. Ci sarebbe da chiedersi il senso di considerare sostenibili investimenti solo per il fatto che affermino di considerare criteri ESG;  visto che il 75% dei prodotti finanziari sostiene di adottarli probabilmente esiste un enorme spazio per chi, oltre ad adottare criteri, ne valuti anche il reale impatto in termini di impronta ecologica. Ma questa è una pia illusione, l’unica impronta che interessa imprese e istituzioni finanziarie è la carbon footprint, eterea, e di conseguenza più adatta a raccontare storie di più difficile verifica.

È il climate change infatti il centro di tutto, e la CO2 è la grande colpevole, si deve combattere come se fosse un virus, un virus che deve essere eliminato attraverso una transizione energetica, una transizione di cui pochi considerano i costi economici che, ricordiamolo sempre, dovrebbero essere un elemento centrale da valutare assieme agli aspetti ambientali e sociali, quando si parla di sostenibilità.

Come spesso accade, ci si concentra sulle emissioni durante la vita utile di un prodotto o di un impianto di produzione di energia, senza andare a vedere l’impatto legato alla sua realizzazione. La transizione verso un mondo a emissioni zero infatti non considera ad esempio l’enorme necessità di metalli per la sua messa in opera. Secondo l’International Energy Agency americana (IEA) il tema dell’intensità mineraria rappresenta un limite oggettivo a un obiettivo così radicale; ad esempio un Megawatt di potenza elettrica ottenuta da gas naturale richiede una tonnellata di metalli critici, tale quantità si decuplica se ottenuta attraverso un impianto eolico a terra e addirittura si moltiplica per 15 se l’impianto è in mare.

L’aumento di domanda di metalli, oltre a determinare un inevitabile incremento di prezzo degli stessi (stiamo parlando di rame, zinco, manganese, etc.) causerà anche un inevitabile aumento nel prelievo di risorse, andando quindi in direzione opposta rispetto a un obiettivo di reale sostenibilità.

Il costo stimato della transizione energetica, secondo un’altra società di consulenza, Deloitte, che intravede di conseguenza l’enormità del business ad essa collegato, è di circa 178 trilioni di dollari nei prossimi 50 anni.

Previsioni su cui è lecito porsi molti dubbi, ma il punto è che le grandi società di consulenza (questo rapporto Deloitte è stato presentato a Davos) non si pongono domande sulle conseguenze di tale conversione, affermando con totale sicurezza che non agire porterebbe costi ancora superiori per il sistema.

Senza entrare nel merito di quest’ultima affermazione, sarebbe interessante capire quali saranno i soggetti che dovranno farsi carico di coprire questi enormi costi e quali soggetti invece ne trarranno enormi benefici economici. È proprio qui il punto; edilizia, mobilità, agricoltura e zootecnia stanno già sentendo sulla propria pelle i morsi di norme ambientali decarbonizzate.

Ma una reale analisi costi/benefici della transizione energetica richiederebbe valutazioni ben più approfondite rispetto a quelle finora effettuate. Lo sviluppo sostenibile, così definito dall’ormai mitologico rapporto Bruntland nel 1987, considerava necessario produrre di più con meno risorse, ma come si è visto produrre energia rinnovabile rischia oggi di essere un boomerang sul fronte del prelievo di risorse.

Come sempre il problema viene analizzato a metà, dove metà del bicchiere è riempito di informazioni e valutazioni corrette e l’altra metà di ideologia, e l’ideologia al potere ha, il più delle volte, portato disastri all’umanità.