Inchieste

Componente core, pericolo nascosto dell’inflazione

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di Giorgio Costa

 Non bastano i cali dei prezzi dell’energia a domare l’inflazione che tende a diminuire ma sale ancora nella sua componente “core”. Per capirne bene la dinamica occorre, infatti, dividere l’inflazione, per così dire, in due, leggendo il dato generale insieme a quello cosiddetto “core”, che esclude dal calcolo i beni energetici ed alimentari, a più alta volatilità. E se il dato generale dell’inflazione diminuisce, seppure di poco, il dato core tende ancora ad aumentare: in Italia ha raggiunto il 6%.

La ragione sta nelle tensioni sui prezzi al consumo di diverse categorie di prodotti, tra cui i beni non durevoli (chimica e farmaceutica ma anche abbigliamento e informatica, da +6,1% a +6,8%) e i servizi dell’abitazione (da +2,1% a +3,2%), che contribuiscono alla lieve accelerazione della componente di “fondo”. Ma che cos’è questa componente “core” o di “fondo”?

Normalmente, quando si sente parlare di inflazione, il dato si riferisce alla variazione dei prezzi di un paniere che riflette le abitudini di acquisto di un consumatore medio. Quindi, il paniere contiene anche prodotti alimentari e energetici, come la benzina e il gasolio, ad esempio. Il prezzo di questi prodotti, però, è particolarmente variabile nel tempo – “volatile” in gergo tecnico – e soggetto, cioè, a oscillazioni maggiori rispetto ai prezzi degli altri beni e servizi. Per questo motivo, per ottenere una misura più stabile dell’inflazione, si escludono i prodotti alimentari ed energetici dal paniere di beni e servizi usato per calcolare il tasso di inflazione chiamato di fondo o core; un dato che può fornire agli economisti informazioni particolarmente utili sull’andamento dell’inflazione.

E l’inflazione globale rallenta a gennaio 2023 sia in Italia, sia in Europa. Secondo le stime preliminari dell’Istat, infatti, nel mese di gennaio l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività registra un aumento dello 0,2% su base mensile e del 10,1% su base annua (livello che non si toccava da settembre 1984) che si confronta con il +11,6% nel mese precedente. Il dato core, però, che non tiene conto di energetici e alimentari freschi, sale a +6% da +5,8% del mese precedente. La flessione del dato generale si deve principalmente all’inversione di tendenza su base annua dei prezzi dei beni energetici regolamentati, le tariffe (da +70,2% a -10,9%) e al rallentamento di quelli degli energetici non regolamentati (da +63,3% a +59,6%), degli alimentari non lavorati (da +9,5% a +8,0%).

Quanto invece all’Europa, l’inflazione nell’Eurozona dovrebbe attestarsi all’8,5% a gennaio, in calo rispetto al 9,2% di dicembre, secondo la stima flash di Eurostat. Tra le singole componenti prevale il dato dell’energia (17,2%, rispetto al 25,5% di dicembre). La cosiddetta inflazione core a livello europeo è rimasta stabile al 5,2%, a dimostrazione che anche in Europa i prezzi stiano ancora salendo per beni e servizi come abbigliamento, elettrodomestici, automobili e computer.

La stima di Eurostat sull’Italia è di un’inflazione a gennaio in calo al 10.9%, rispetto al 12,3% di dicembre. Tra i Paesi con i tassi di inflazione maggiori Lettonia (21,6%) Estonia (18,8%) e Lituania (18,4%); all’opposto Spagna e Lussemburgo (5,8%).