Inchieste

Far West pagamenti: ritardi, trucchi e clausole vessatorie

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di Giorgio Costa

Una mina da 55,6 miliardi che incide più sui bassi importi che su quelli elevati. Non è il peso della bolletta energetica ma l’importo dei crediti che le imprese, in particolare le PMI, vantano nei confronti della Pubblica Amministrazione.

In pratica, lo Stato centrale e le sue articolazioni periferiche continuano “colpevolmente” a non pagare nei tempi di legge i propri fornitori, costituiti prevalentemente da piccole e medie imprese. E dal 2013, a seguito del recepimento nel nostro ordinamento della normativa europea contro i ritardi di pagamento, i tempi nelle transazioni commerciali tra enti pubblici italiani e aziende private non possono superare di norma i 30 giorni (60 per alcune tipologie di forniture, in particolare quelle sanitarie).

E se il pubblico ritarda, non sempre va meglio nel privato: secondo l’ultimo Report sulla Supply Chain Finance del Politecnico di Milano, i crediti commerciali ammontavano a fine 2020 a 424 miliardi di euro, per riportarsi sul valore 2019 – circa 490 miliardi di euro – lo scorso anno.

Il rischio maggiore, poi, si annida nelle fatture con ritardi gravi, che rischiano di trasformarsi in crediti inesigibili (e quindi in carenze di liquidità potenzialmente fatali per i creditori). Infatti, secondo l’ultimo Studio pagamenti Cribis le fatture scadute da oltre 30 giorni nel primo trimestre 2021 erano arrivate a superare il 13% (contro il 10% di un anno prima).

Una soluzione, come spiega Matteo Tarroni, CEO di Workinvoice, potrebbe essere quella di dichiarare illegittime le clausole che vietano la cessione dei crediti che sempre più spesso sono inserite a forza nei contratti di fornitura dai clienti “forti” che vogliono imporre le proprie condizioni ai fornitori, ignorando che questo gioco di potere può stravolgere il merito di credito di questi ultimi e deteriorare drasticamente la loro situazione di liquidità, la principale ragione di default delle aziende e un freno alla crescita.

«L’incedibilità del credito – spiega Tarroni – rende difficoltoso l’accesso ai finanziamenti dei crediti commerciali e impossibile l’utilizzo di forme innovative di finanza che prevedono appunto la creazione di mercati in cui i crediti possono essere liberamente trasferiti. A livello di sistema questo determina un “collo di bottiglia” nell’efficiente allocazione delle risorse e, in ultima istanza, un incremento del costo di finanziamento per le aziende, in particolare per le PMI che hanno minor potere contrattuale verso i propri clienti».

I dati sulla PA emergono da un recentissimo rapporto della Cgia di Mestre, secondo il quale In Italia le commesse della nostra PA ai privati ammontano complessivamente a circa 150 miliardi di euro all’anno e il numero delle imprese fornitrici si aggira attorno a un milione.

Tra i ministeri con portafoglio, solo due hanno rispettato i tempi l’anno scorso: quello meno reattivo a saldare le fatture ricevute è stato l’Interno con un ritardo di oltre due mesi rispetto alla scadenza prevista dal contratto. Seguono le Politiche agricole (oltre 42 giorni di ritardo) e la Difesa (32 giorni). La situazione è addirittura peggiorata nei  primi tre mesi di quest’anno: dei nove ministeri che hanno aggiornato l’Indice di Tempestività dei pagamenti, solo quello delle Politiche agricole ha pagato in anticipo (-37 giorni).

Tra le amministrazioni regionali, invece, i maggiori ritardi nel saldare i pagamenti si sono registrati in Abruzzo con 62 giorni oltre la scadenza contrattuale, in Basilicata con 39 e in Campania con un ritardo medio di 9,74 giorni. Tra i Comuni, invece, la situazione patologica a Napoli con 228 giorni di ritardo, davanti a Lecce (63) e Salerno (61).

«A oggi non risultano – dice Bruno Panieri, direttore delle politiche economiche di Confartigianato – criticità particolari per i pagamenti, se non che i 30 giorni di legge non li rispetta quasi nessuno, ma l’accesso alla liquidità bancaria non sta soffrendo particolari restrizioni e i pagamenti corrono come nella norma. Certo, le cose potrebbero rapidamente cambiare se entrassimo in una recessione piena».

Ma la situazione non è la stessa per tutti. Le PMI ad esempio sono in forte affanno nel settore delle forniture alla GDPO, che paga più a lungo termine chi ha minori capacità negoziali.

«In quei casi – spiega ancora Panieri – il committente ha un fortissimo potere di condizionamento, sia sul prezzo sia sui tempi di pagamento e utilizza il lasso di tempo tra fornitura veloce e pagamento a 90 giorni per far fruttare finanziariamente la valuta che incassa. La legge attuale non interviene perché si tratta di rapporti “business to business”, in cui vale la contrattazione bilaterale.

Novità interessanti potrebbero arrivare da una nuova direttiva comunitaria: queste situazioni di consegne rapide del fornitore e pagamenti a 90 o più giorni del cliente sarebbero viziate in quanto clausole vessatorie con esercizio di abuso posizione dominante». La norma Ue andrà proprio a incidere sui rapporti tra grandi e piccole aziende private, estendendo vincoli e penali già in vigore sui rapporti tra pubblico e privato (si veda il Settimanale n. 4 del 29 settembre).

Un intervento fondamentale, quello europeo, specie per il sistema italiano in cui le procedure giudiziali sono talmente lunghe da indurre il creditore nella gran parte dei casi a lasciar perdere se si stratta di pagamenti di importi modesti.

«L’unica strada – spiega ancora Panieri – diventa quella di fissare la possibilità di azioni risarcitorie a carico dello Stato quando i tempi si allungano oltre una certa soglia». Un’altra soluzione potrebbe essere quella di compensare i debiti fiscali con i crediti commerciali verso la Pa.

Secondo l’Ufficio studi della Cgia, va prevista per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della Pa e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve versare all’erario. «Grazie a questo automatismo – spiegano da Mestre – risolveremmo un problema che ci trasciniamo appresso da decenni. Senza liquidità a disposizione, infatti, tanti artigiani e altrettanti piccoli imprenditori si trovano in grave difficoltà e in un momento così delicato per l’economia del Paese».

Tra i 27 Paesi Ue, sempre nel 2021 nessun altro presenta uno score così negativo come il nostro: in Italia l’incidenza dei debiti commerciali della Pa sul Pil è stata del 3,1%. Dei nostri principali competitor commerciali, ad esempio, i debiti di parte corrente sul Pil della Spagna sono allo 0,8%, nei Paesi Bassi all’1,2%, in Francia all’1,4% e in Germania all’1,6%. Persino la Grecia, che l’anno scorso aveva un rapporto debito pubblico/Pil che sfiorava il 203%, presenta un’incidenza dei debiti commerciali sul Pil quasi la metà della nostra (1,7%).

Va segnalato che negli ultimi anni i ritardi di pagamento sono mediamente in calo, anche se secondo la Corte dei Conti, si starebbe consolidando una tendenza che vede le Amministrazioni pubbliche privilegiare il pagamento in tempi brevi delle fatture di importo maggiore, riportando così i tempi medi nei termini previsti, e ritardare intenzionalmente la liquidazione di quelle di importo meno elevato. Una modalità operativa che, ovviamente, penalizza le piccole imprese che, generalmente, lavorano in appalti o forniture di importi nettamente inferiori a quelli “riservati” alle attività produttive di dimensione superiore. Del resto, che le cose in Italia non vadano proprio benissimo lo ha stabilito anche la Corte di Giustizia Ue che ci ha già condannato nel 2020 proprio per la violazione della direttiva UE 2011/7 sui tempi di pagamento tra amministrazioni pubbliche e imprese private.

«Negli ultimi anni – spiega Francesco Bortolamai, dell’Osservatorio dei conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano – vi è stato un notevole miglioramento nei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni. I dati disponibili sembrano indicare addirittura che i ritardi medi siano ormai allineati a quelli degli altri principali Paesi.

Tuttavia, vi sono molte situazioni, anche nelle amministrazioni centrali, in cui i tempi rimangono troppo lunghi e verosimilmente non sono ancora tali da soddisfare i criteri imposti dalla Direttiva europea del 2011. Rimangono patologici i tempi di vari ministeri e di alcuni Comuni. Nell’importante settore dei dispositivi medici vi sono stati grandi miglioramenti, ma specie nelle regioni del Centro-Sud i tempi sono superiori, in qualche caso di molto, a quelli disposti dalla Direttiva».