Inchieste

Flat tax, cuneo e sconti per attenuare la morsa fiscale

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di Veronica Schiavone

Italiani, popolo sempre più di tartassati e un po’ meno di evasori. La pressione fiscale reale (il rapporto tra entrate fiscali e PIL  calcolata al netto del sommerso) continua a crescere e quest’anno ha raggiunto il 43,8% (in Europa solo Danimarca, Francia e Belgio fanno peggio di noi), colpa anche dell’inflazione galoppante, che ha fatto salire le imposte indirette (per esempio l’IVA sui prodotti di consumo), della ripresa economica registrata nel 2022, che ha favorito la crescita delle imposte dirette, e del venir meno di alcune agevolazioni e proroghe tributarie, disposte durante la pandemia e non più confermate.

Ma se da un lato il “fiscal burden” come lo chiamano gli inglesi (espressione che noi in Italia siamo abituati a tradurre con la molto più blanda locuzione di “carico fiscale” mentre andrebbe giustamente tradotta in modo letterale per quello che è veramente, ossia un “fardello”) continua a stringere i contribuenti in una morsa sempre più forte, dall’altro questo peso non ha prodotto un aumento dell’evasione fiscale, che resta comunque su livelli preoccupanti. Sarà per effetto dei controlli incrociati (anche sui conti correnti) e delle banche dati (fiscali e non) che finalmente hanno iniziato a parlarsi, perché questo vuole il PNRR, ma ormai il tax gap (ossia la differenza tra quanto è dovuto e quanto realmente viene versato dai contribuenti) si attesta di poco sotto la fatidica soglia dei 100 miliardi.

La recente Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF) ha certificato questa progressiva tendenza al ribasso dell’evasione di tasse e contributi. Nel 2019, anno a cui si riferiscono gli ultimi dati disponibili riportati della NADEF, il tax gap è stato pari a 99,2 miliardi di euro di cui 86,5 miliardi per imposte evase (IRPEF, IRES, IVA e IRAP) e 12,7 miliardi di contributi non pagati. Si tratta complessivamente di un 3% in meno rispetto all’anno precedente.

Ma, come detto, la tendenza al ribasso è un dato costante, visto che rispetto al 2015 il gettito mancante per il fisco si è ridotto di 6,9 miliardi di euro. IVA, IRES e IRAP sono le imposte che cittadini e imprese fanno più fatica a evadere, mentre la “madre di tutte le imposte”, l’IRPEF che colpisce i redditi delle persone fisiche, resta la più evasa con un gettito mancante di 32,2 miliardi di euro nel 2019, pari al 68,3 per cento dell’imposta dovuta dagli autonomi e dalle imprese.

Più carico fiscale, un po’ meno evasione, come dicevamo all’inizio. È questa la fotografia della tendenza degli ultimi anni di politiche fiscali. Ed è da qui che bisogna partire per capire le ragioni profonde che stanno alla base della manovra fiscale di Giorgia Meloni inserita nella Legge di Bilancio 2023 da 35 miliardi di euro, che il Governo ha approvato lunedì notte in Consiglio dei Ministri. L’obiettivo è alleggerire il carico fiscale su cittadini, lavoratori autonomi e imprese attraverso un mix di misure che però non farà sconti sul fronte della lotta all’evasione.

Anche perché il PNRR ci chiede di ridurre il tax gap di ben 12 miliardi nei prossimi due anni, e quindi non si possono lasciare troppo le briglie sciolte.

Flat tax a 85mila euro ma con clausola antievasione

Il punto di caduta finale sulla flat tax dimostra proprio questa tendenza: ridurre le tasse senza incentivare la tendenza all’evasione fiscale. Per il 2023 la soglia di ricavi e compensi che consentirà alle partite IVA di pagare l’aliquota forfettaria agevolata del 15% sale da 65 mila a 85 mila euro.

Ma spunta una clausola antievasione che dovrebbe funzionare in questo modo: per chi nel 2023 sforerà il tetto degli 85mila euro restando però entro il limite di 100mila euro di ricavi o compensi, il ritorno alla tassazione ordinaria non sarà immediato ma solo rinviato al successivo anno d’imposta, quindi al 2024.

In questo modo, nelle intenzioni del Governo, dovrebbe essere scongiurato il rischio che imprese e autonomi, vicini alla soglia degli 85 mila, inizino a non emettere più fattura nel timore di essere catapultati nella tassazione ordinaria. Solo per chi sforerà anche il tetto dei 100mila euro il ritorno al regime ordinario di tassazione sarà immediato.

Flat tax incrementale

Oltre a questa flat tax, che potremmo definire “ordinaria”, la manovra di bilancio introduce anche una flat tax “incrementale”, sempre del 15%, che si applicherà agli aumenti di reddito (superiori al 5%), registrati rispetto al massimo picco del triennio precedente.

La misura, ha spiegato Meloni, «è rivolta al ceto medio» e per questo è riservata a chi dichiara al massimo 40mila euro.

La terza tassa piatta contenuta in manovra che è rappresentata dall’aliquota al 5% sui premi di produttività fino a 3mila euro. In questo caso la tassazione è stata dimezzata rispetto all’attuale aliquota del 10%.

Tregua fiscale

Nessun condono ma, come ha detto Meloni, «l’inizio di un rapporto diverso tra Stato e contribuente». La manovra viene incontro a cittadini e imprese che in questi ultimi anni si sono trovati in difficoltà economica anche a causa delle conseguenze del Covid-19 e dell’impennata dei costi energetici.

Verranno stralciate le cartelle esattoriali fino a mille euro affidate ad Agenzia delle entrate-Riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015. Si tratta di carichi fiscali (per lo più multe per violazione al codice della strada ma anche tasse e imposte locali come IMU, TARI, addizionali, imposte sulla pubblicità e sulle affissioni) ormai usciti dal radar della riscossione locale che per i Comuni costerebbe più mantenere in bilancio tra i residui attivi che cancellare del tutto.

«È un’operazione di buon senso per lo Stato» ha spiegato Maurizio Leo, viceministro all’Economia con delega al fisco. «Stiamo parlando di uno stock di carichi fiscali affidati all’Agente della riscossione pari a 1.132 miliardi di cui, secondo la Corte dei Conti, solo il 6-7% è effettivamente riscuotibile». Non rientreranno nella sanatoria le cartelle dei Comuni che non si affidano all’Agente della Riscossione ma riscuotono in proprio.

Per i crediti fiscali sopra i mille euro affidati all’Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022 è in arrivo un’operazione di «saldo e stralcio» che prevede il pagamento integrale della cartella con una maggiorazione del 5% sostitutiva di interessi e sanzioni e la possibilità di pagare a rate. Anche per gli avvisi di accertamento e i processi verbali si dovrà pagare tutta l’imposta con una sanzione del 5% (sostitutiva di interessi e sanzioni) e la possibilità di rateizzare in 5 anni.

La tregua fiscale si applicherà non solo alla cartelle, ma anche alle dichiarazioni presentate fino al 2021 per venire incontro ai contribuenti (persone fisiche e aziende) in difficoltà a causa del Covid e del caro energia: potranno pagare quanto dovuto con una sanzione più bassa (pari al 3%) e un orizzonte temporale quinquennale per saldare il tutto. Passa, infine, da un anno a due anni l’orizzonte temporale del Ravvedimento operoso che consentirà a chi non ha dichiarato tutti i redditi di mettersi in regola.

Taglio al cuneo fiscale

Il taglio al cuneo fiscale di due punti percentuali, già disposto dal governo Draghi limitatamente al 2022 (per i redditi fino a 35mila euro) sarà prorogato anche per l’anno prossimo. Lo sgravio sale al 3% per i redditi più bassi, ovvero quelli fino a 20mila euro. Rispetto alle prime indiscrezioni circolate sulla misura, che parlavano di un taglio del cuneo anche a vantaggio delle imprese (nella misura di un terzo per le aziende e due terzi per i lavoratori) la versione definitiva della misura inserita in manovra va invece a vantaggio integralmente dei dipendenti, con l’obiettivo di arrivare a un taglio del 5% entro la fine della legislatura.

Il governo Meloni ritiene essenziale un intervento per sforbiciare la massa di oneri e contributi (stimata intorno al 60%) che appesantisce le buste paga e il costo aziendale dei lavoratori, alleggerendo gli stipendi degli italiani che infatti sono tra i più bassi in Europa.

Non a caso il capitolo sul cuneo fiscale risulta, al netto degli interventi sul caro energia, il più oneroso della manovra cubando circa 4 miliardi di euro. Per i redditi tra 15mila e 30mila euro, il taglio del cuneo fiscale si tradurrà in un vantaggio netto variabile dai 24 ai 45 euro netti a mese, per 13 mensilità di stipendio.

Il guadagno netto risulta ovviamente inferiore al taglio lordo, oscillante dai 34 ai 69 euro al mese, perché l’aumento del reddito imponibile porta con sé l’applicazione di una maggiore tassazione Irpef e, di conseguenza, assottiglia l’intervento sul cuneo fiscale.

Detto questo, l’intervento sul cuneo è sicuramente positivo perché, come ha osservato la Fondazione dei commercialisti, rimpinguando le buste paga dei dipendenti a medio-basso reddito, è orientato a spingere i consumi. Attualmente, con le riduzioni introdotte dal governo Draghi, l’aliquota contributiva a carico del lavoratore è stata tagliata dal 9,19% al 7,19%.

Crediti dimposta per le aziende energivore e non

La manovra stanzia circa 9 miliardi di euro per finanziare l’aumento del 5% dei crediti d’imposta per le imprese legati al caro energia. Salgono quindi dal 30 al 35% i crediti di imposta per le aziende non energivore (per esempio bar e ristoranti) e dal 40 al 45% quelli per le imprese a forte consumo di elettricità e gas.

I crediti di imposta si applicheranno agli aumenti che le aziende stanno sostenendo per i costi energetici rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. A questo intervento destinato alle imprese se ne affianca uno analogo a favore delle famiglie che potranno beneficiare del bonus sociale per calmierare le bollette se hanno un Isee fino a 15mila euro (fino ad oggi il tetto si fermava a 12mila euro).

Innalzamento del tetto al contante

Espunto, per volontà del Quirinale, dal Decreto Aiuti Quater, l’innalzamento a 5mila euro del tetto al contante è forse la norma più di “bandiera” della manovra. Il limite, oggi fissato a 2mila euro, sarebbe dovuto scendere a 1.000 euro a partire dal 1° gennaio. E invece salirà a 5mila.

L’Esecutivo è convinto che si tratti di una misura fortemente benefica per le imprese e per il commercio e fortemente agevolativa per i tanti italiani (soprattutto anziani) che hanno difficoltà a utilizzare gli strumenti di pagamento digitale. E soprattutto che non si tratti di un regalo agli evasori.

I numeri di Unimpresa sembrano dare ragione al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, confermando l’assenza di una correlazione diretta tra l’andamento dell’evasione fiscale e l’evoluzione del tetto al contante. Anzi, secondo Unimpresa, negli ultimi 10 anni l’evasione fiscale più bassa (83 miliardi) è stata registrata quando (nel 2010) il tetto al contante è stato fissato a 5mila euro.

Il livello massimo di evasione, pari a 109 miliardi, è stato invece registrato nel periodo 2012-2014, quando la soglia massima per i pagamenti cash era stata abbassata a 1.000 euro.