Inchieste

Il lato oscuro della crisi: imprese italiane ancora in panne

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di Mariarosaria Marchesano

Strano Paese, l’Italia. Migliaia di famiglie e imprese arrancano, tant’è che il governo Meloni è a caccia di fondi per mettere in campo nuovi aiuti, però poi quando si vanno a leggere i dati sembra che le cose non vadano così male: l’Istat dice che nel 2022 il Pil è cresciuto del 3,9% e che nel 2023 aumenterà dello 0,6% piuttosto che arretrare costringendo il Fondo monetario internazionale a rivedere nuovamente al rialzo le stime (si registra, però, un lieve arretramento nel quarto trimestre).

L’Istat dice anche che la fiducia delle imprese è in aumento e che se quella dei consumatori, al contrario, diminuisce è perché i cittadini accusano la perdita del potere d’acquisto dovuta all’inflazione.

Ma, rileva l’istituto nazionale di statistica, entrambe le categorie sociali esprimono una percezione positiva su prospettive future e occupazione. «Insomma, siamo un Paese che tecnicamente dovrebbe soffrire più di altri della difficile situazione congiunturale – dice l’economista di Nomisma, Lucio Poma – ma la cui manifattura, ed economia in generale mostrano una grande vitalità; non inaspettata, se si considerano le straordinarie performance del Pil negli ultimi due anni. Con i prezzi del gas che da inizio anno sono crollati, dovremmo attenderci per febbraio un ulteriore aumento dell’indice di fiducia anche da parte dei consumatori».

Dunque, quella che, secondo le ultime previsioni, attende l’Italia e l’Europa, è una recessione molto più lieve del previsto e un’inflazione in deciso calo nella seconda parte dell’anno. Tutto bene, dunque? Il peggio è passato e bisogna guardare avanti? Può darsi, ma potrebbe trattarsi della quiete prima della tempesta secondo chi le imprese le conosce nel profondo e sa che dopo ogni periodo di incertezza economica ne segue uno in cui si contano i danni e si curano le ferite che questa ha provocato nel sistema produttivo. Cosa che in Italia non sta avvenendo.

Un dato che dovrebbe far riflettere – dice in sintesi al Settimanale Alberto Angeloni, partner di uno dei più grandi studi d’affari internazionali con sede in Italia, Dla Piper  – è che, a dispetto di una situazione prolungata di crisi tra pandemia, choc energetico e interruzione delle catene di approvvigionamento, i fallimenti sono in calo e le ristrutturazioni aziendali sono ferme.

È una situazione paradossale – afferma.

In effetti, invece che aumentare, i fallimenti in Italia si sono ridotti del 20 per cento nei primi nove mesi del 2022 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E questo, secondo l’avvocato esperto di diritto fallimentare, si può spiegare solo in parte con l’effetto calmieratore delle nuove nome introdotte da poco dal “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, che limitano il ricorso al fallimento a casi estremi perché prediligono il risanamento dell’attività economica.

«Si possono ipotizzare varie ragioni che spiegano questo paradosso – spiega Angeloni – c’è un mercato drogato dalla liquidità, grazie anche alle garanzie statali, peraltro in proroga, c’è un tema politico legato a doppio filo con le promesse di natura fiscale: la paventata pace fiscale che viene di volta in volta promessa alle imprese genera una situazione di stallo e incertezza e sicuramente disincentiva l’imprenditore a ristrutturare;  c’è una mancanza di fiducia nel nuovo Codice; infine, c’è forse anche un tema culturale, di sfiducia nelle istituzioni».

Tutti questi fattori creano un sostanziale stallo tra le aziende che prendono tempo invece di ricorrere a tutti quei correttivi che le possono rimettere su una corretta traiettoria di crescita:

Presto se ne renderanno conto, tra aprile e giugno con le approvazioni dei bilanci le cose potrebbero cambiare, ma potrebbe anche essere troppo tardi per correre ai ripari – aggiunge Angeloni.

Ecco, questo è un lato oscuro della situazione di apparente calma che sta vivendo il mondo imprenditoriale italiano, che è fatto sì di quelle che Nomisma definisce aziende “controvento”, vale a dire circa 5mila realtà che negli ultimi anni hanno proseguito la loro crescita nonostante l’accavallarsi di crisi, incertezza dei mercati e tensioni geopolitiche, consentendo al Prodotto interno lordo di calare meno del previsto; ma è fatto anche di migliaia e migliaia di aziende (basti pensare a tutto il manifatturiero energivoro) che proprio in queste settimane non riescono a pagare le utenze e non vedono ancora l’inversione di tendenza in atto.

Nel 2022 imprese e famiglie hanno subito un incremento di spese legato al caro bollette di 91,5 miliardi di euro. Anche se non si conosce il dato disaggregato, non è difficile immaginare che almeno qualche decina di miliardi abbia impattato sui conti delle aziende insieme con le difficoltà nella logistica e nelle catene di fornitura.

«Ebbene, mi sarei aspettato molte più richieste di ristrutturazioni aziendali grazie ai buoni strumenti che le nuove norme mettono a disposizione delle imprese, come per esempio la composizione negoziale delle crisi e gli accordi di ristrutturazione, che si pongono come obiettivo principale il risanamento e il rilancio sul mercato. Questi percorsi possono essere intrapresi anche attraverso le Camere di Commercio che aiutano soprattutto le imprese familiari a uscire da situazioni di difficoltà. Bisogna pensarci prima che sia troppo tardi».