Inchieste

Il tesoro fantasma dei rifiuti elettronici

Scritto il

Inchiesta a cura di Lorenza Resuli

Solo lo scorso anno oltre 400mila tonnellate di Raee – acronimo per Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (in inglese Weee) –vale a dire quasi 3 milioni di grandi elettrodomestici e oltre 400 milioni di piccoli elettrodomestici, sono sfuggite al sistema del riciclo ufficiale.

Non smaltite o smaltite male da cittadini poco attenti, certo, ma nella maggior parte dei casi inghiottite da un mercato parallelo sempre più esteso e fuori controllo, che da quei “rifiuti d’oro” ricava preziose materie prime (oro, argento, rame, ferro, palladio, ma non solo) e profitti da capogiro.

A danno di tutti: dell’industria italiana, che quelle materie è costretta a importarle a prezzi esorbitanti; dell’ambiente, che subisce le conseguenze di processi estrattivi ben poco green; dei cittadini, che su ogni elettrodomestico pagano l’ecotassa; dei produttori, che hanno la responsabilità di gestire i Raee. E, in definitiva, di quella virtuosa economia del riciclo tanto caldeggiata dall’Europa.

Dai rifiuti, un tesoro nascosto per l’industria

Ecco qualche cifra per capire di cosa stiamo parlando. Secondo Erion Weee, il consorzio di produttori leader in Italia nella gestione dei Raee, se l’Italia riuscisse a intercettare tutti i rifiuti elettrici ed elettronici oggi dispersi e ad avviarli a un trattamento corretto, si potrebbero riciclare 380mila tonnellate di materie prime, di cui 209mila tonnellate di ferro (pari al peso di 28 Torri Eiffel), 18mila tonnellate di rame (pari a 198 volte il peso del rivestimento della Statua della Libertà), 14mila tonnellate di alluminio (pari a 16 milioni di moka da caffè).

Ma dai Raee si ricavano anche plastica, vetro e preziose “Materie Prime Critiche” (o CRM, Critical Raw Materials), quelle cruciali per i settori economici strategici (come transizione verde e digitale) e ad alto rischio di approvvigionamento.

Secondo lo studio «Le opportunità per la filiera dei Raee all’interno del Critical Raw Materials Act» realizzato da The European House – Ambrosetti per Erion, nei prodotti tecnologici sono presenti 11 materie prime critiche (litio, cobalto, gallio, indio, germanio, tantalio, rutenio, disprosio, neodimio, terbio, rame); di sei di queste, la Cina è il principale fornitore a livello globale.

Peccato che oggi la raccolta di Raee in Italia non superi il 37%, un dato che posiziona il nostro Paese tra i cinque meno virtuosi a livello europeo e che è ben lontano da quel 65% richiesto dall’Europa. «Rispetto all’anno passato il valore della produzione industriale italiana sostenuta dalle CRM è incrementata del 22%» ha dichiarato Danilo Bonato, Direttore Generale di Erion Compliance Organization.

«In questo contesto di incertezza e dipendenza dalle importazioni dall’estero, una leva strategica per ridurre il rischio di approvvigionamento può arrivare dal riciclo dei rifiuti correlati ai prodotti elettronici. Abbiamo nelle nostre case una miniera urbana che, per varie ragioni, facciamo fatica a valorizzare».

Meno Raee ricicliamo, insomma, più diventiamo dipendenti da costose materie vergini da importare e più rischi corre l’ambiente, visto che questi rifiuti speciali contengono anche elevate concentrazioni di elementi tossici (tipo mercurio e plastiche BFR) e che una buona parte di Raee non documentata viene riciclata in modo scorretto, rilasciando nell’ambiente queste sostanze dannose e sacrificando componenti preziosi. Il Rapporto «Ecomafia 2023» stilato da Legambiente sulla criminalità ambientale in Italia lo conferma: al terzo posto per numero di reati ritroviamo proprio il mercato illegale dei rifiuti, fenomeno che spesso assume una dimensione transnazionale.

L’indagine: 1 Raee su 3 sfugge alla filiera corretta

Semplificando, la filiera corretta prevede che il cittadino consegni il Raee in uno dei centri di raccolta del proprio Comune o al rivenditore di Aee e che i “sistemi collettivi” (cioè i consorzi dei produttori) provvedano a recuperarlo e trasportarlo agli impianti di trattamento certificati dal CdC Raee.

È qui che i materiali vengono separati e riciclati per ottenere materie prime-seconde da reintrodurre in nuovi processi produttivi. Ma spesso a un certo punto del percorso il Raee devia e raggiunge un’altra meta.

Quale? Lo ha verificato “Chi l’ha visto”, l’indagine condotta da Altroconsumo e da Erion WEEE che – attraverso tracker Gps nascosti in ogni apparecchio – ha seguito per sei mesi il viaggio compiuto da oltre 300 Raee dal momento in cui uscivano dalle case dei proprietari fino alla destinazione finale (lecita o illecita).

Un apparecchio su tre non è mai arrivato agli impianti di trattamento autorizzati, approdando altrove: case private, acciaierie, rottamai, ma anche aree portuali e persino discariche abusive. Insomma, hanno seguito flussi alternativi a quelli autorizzati, a volte uscendo dai confini nazionali.

Come le tre lavatrici partite da un impianto accreditato della provincia di Venezia e finite in Slovenia. O il notebook consegnato in un negozio di elettronica, dove ha sostato solo poche ore, per poi sparire dai radar per tre mesi e ricomparire in Senegal. O il portatile che, uscito da un’isola ecologica, ha sostato per due mesi da un rottamaio di Napoli, ha preso la volta del porto e dopo due settimane è approdato ad Alessandria d’Egitto. Un terzo notebook ha addirittura terminato il suo viaggio in una discarica di Casablanca, in Marocco.

Più controlli, ma dove servono veramente

Certo anche i cittadini ci mettono lo zampino, visto che non tutti gestiscono in modo virtuoso i propri apparecchi elettronici. Secondo un’indagine Ipsos-Erion del 2022, l’81% degli italiani tiene in casa un apparecchio elettronico senza usarlo, mentre il 61% non lo butta nemmeno se è rotto, nel 23% dei casi perché non conosce la giusta procedura di smaltimento.

Eppure sono proprio i consumatori a sostenere di tasca propria l’intero sistema del riciclo dei Raee attraverso l’eco-contributo versato quando comprano un nuovo elettrodomestico, secondo il principio che “chi inquina paga”. In pratica l’acquisto del prodotto nuovo finanzia lo smaltimento di quello vecchio. Ben vengano, allora, le campagne di sensibilizzazione che promuovano un corretto smaltimento dei rifiuti fin dal primo anello della catena, il consumatore.

Ma il problema maggiore è altrove. In quei flussi paralleli che partono dai centri di raccolta e che prendono rotte diverse. «Questa inchiesta evidenzia il cuore del problema: accanto al Sistema Raee italiano che funziona e porta benefici al Paese c’è una zona grigia fatta anche di traffici illeciti. Se vogliamo che le cose cambino non possiamo più fare finta che questo fenomeno non esista» spiega Giorgio Arienti, Direttore Generale di Erion WEEE.

«È necessario, affinché non vengano vanificati gli sforzi dei cittadini e dei soggetti virtuosi che operano nel settore, intensificare i controlli lungo la filiera e prevedere sanzioni più dure per chi alimenta questi flussi.

Nel nostro Paese gli impianti accreditati al Centro di Coordinamento Raee sono in grado di riciclare oltre il 90% in peso dei rifiuti; il problema non è quindi il riciclo, ma la raccolta: una parte di questi resta nelle case degli italiani, ma gli altri? Finiscono in mano a soggetti che usano i Raee unicamente per il proprio tornaconto, catturando le materie più facili da estrarre nel modo più economico, senza minimamente curarsi dell’aspetto ambientale.

E questo comporta anche una significativa diminuzione della capacità di riciclare tutte le Materie Prime Seconde e le Materie Prime Critiche, fondamentali e strategiche per il nostro Paese, contenute nei Raee» ha sottolineato Giorgio Arienti. Più controlli e certezza delle sanzioni chiede anche Altroconsumo, che ha già messo a disposizione della magistratura le informazioni dell’inchiesta e denunciato al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica i flussi paralleli documentati.