Inchieste

Inflazione al 2%? In Italia serviranno tre anni

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di Giorgio Costa

L’inflazione al 2% in Italia? Ci vorranno anni perché l’aumento dei prezzi è generalizzato e pervasivo e molto dipenderà dalle politiche che verranno messe in atto dalla Banca centrale europea. «La strada corretta per porre un freno all’inflazione è quella che l’Italia percorse tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ’90 quando si bloccò la rincorsa prezzi-salari, con un accordo sulla inflazione programmata. Si aumentarono i salari di un valore inferiore a quello dell’inflazione ma se ne fermò la corsa», spiega Tommaso Monacelli, professore ordinario di Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano.

«Il problema – aggiunge – è che l’inflazione è un fenomeno pervasivo e molto persistente. Aumentare i salari e le pensioni cercando di recuperare integralmente l’inflazione è un modo per aumentarne l’intensità e la durata. Certo, recuperandola solo in parte si riduce il potere di acquisto delle persone ma almeno se ne frena la corsa». Prima poi di vedere i prezzi scendere passeranno anni, se mai i prezzi scenderanno. «Sì perché quando l’inflazione diminuisce non è che i prezzi scendono: aumentano di meno, ma aumentano – spiega ancora Monacelli – e noi stiamo assistendo ai primi timidi segnali di crescita meno vigorosa».

In Italia, poi, il fenomeno inflattivo ha una doppia origine: da una parte una forte domanda derivante dai trasferimenti pubblici originati dalle politiche di contrasto ai danni economici del Covid e dall’altra l’incremento dei costi energetici. Del resto, nel 2022 ammontano a 52 miliardi di euro le misure contro il rincaro dei prezzi introdotte dal Governo Draghi a favore di famiglie e imprese. Una cifra importante, pari a 3 punti percentuali di Pil, che include anche i 17 miliardi di euro previsti dal decreto Aiuti bis. «Come ulteriore risposta – spiega ancora Monacelli – vi è stato un incremento di salari e pensioni che non fa altro che aumentare il ‘contagio’ dell’inflazione. La strada corretta è quella di un sacrificio iniziale su salari e pensioni compensata poi da un progressivo raffreddamento del fenomeno inflattivo».

L’indice flash pubblicato venerdì scorso 6 gennaio da Eurostat ha mostrato che i prezzi al consumo sono aumentati su base annua del 9,2% a dicembre, segnando un rallentamento dopo il 10,1% di novembre e il record del 10,6% registrato a ottobre. I tassi di inflazione annuale in Europa variano dal 20,7% della Lettonia al 5,6% della Spagna. In Italia, secondo i dati Eurostat, l’inflazione è scesa al 12,3% restando però su livelli ben più alti del 9,6% della Germania, e quasi doppi rispetto al 6,7% della Francia. E il rallentamento della corsa dei prezzi è dovuto soprattutto all’energia i cui prezzi sono cresciuti del 25,7% in dicembre su base annua, dopo il 34,9% di novembre e il 41,5% di ottobre.

Ma il carovita italiano, maggiore di quelli francese e tedesco e con similitudini con quello che si registra nel Regno Unito e nei Paesi Baltici, ha anche un’altra specificità.

«La fiammata inflazionistica italiana è stata favorita – spiega ancora Monacelli – dal tessuto produttivo italiano che è fatto per la stragrande maggioranza di piccole e medie imprese. Queste ultime, infatti, scaricano i maggiori costi, energetici ma non solo, con molta maggiore rapidità sui listini di vendita rispetto alle grandi imprese. Per cui l’arrivo dell’inflazione al consumatore è molto più veloce in Italia di quando non accade in Francia o in Germania».

La sensazione è che una simile spirale non si fermi in poco tempo e che, se mai vedremo i prezzi calare (dai ristoranti alle assicurazioni, dal supermercato alle autostrade, perché tutti i settori sono contagiati) avverrà tra anni.

«Tutto dipende dalle politiche che si mettono in atto, ma credo che ci vorranno almeno tre anni per rivedere in Italia un’inflazione al 2%», conclude Monacelli.

Del resto, veniamo da un ventennio di stagnazione economica, così come durarono molto a lungo i periodi di alta inflazione nella seconda metà del secolo scorso. In Italia il carovita fu notevolmente più alto che nella media dei Paesi industriali. Infatti, dagli anni Cinquanta a oggi ha segnato il 7,5% nel 1963 per poi oscillare dal 1973 al 1985 tra il 10,8 e il 9,2%, con la punta drammatica del 21,2% nel 1980, quando, ricordando Weimar, si diceva che prima “fonde” la moneta e poi cade la democrazia.

Fortunatamente – ma non fu “fortuna”, furono scelte coraggiose di politica economica, a partire dal  cosiddetto “decreto di San Valentino” del 14 febbraio del 1984 quando il Governo Craxi intervenne sulla dinamica della scala mobile, cancellando l’automatismo che collegava la retribuzione all’incremento del costo della vita poi perfezionato dal governo Ciampi, che affidò la funzione del recupero del potere d’acquisto delle retribuzioni alla contrattazione nazionale –  per una ventina di anni l’inflazione è andata via via calando fino ad attestarsi su livelli minimi, nel 2021 all’1,9%.

E l’inflazione, oltre erodere i risparmi, pesa sulla vita quotidiana. «I dati dell’inflazione implicano che nel 2022 una coppia con 2 figli ha pagato 700 euro in più rispetto al 2021 per poter mangiare e bere. Una famiglia media ha avuto una stangata per i prodotti alimentari e le bevande analcoliche pari a 513 euro, cifra che sale a 632 per una coppia con 1 figlio e che arriva a 836 euro per le coppie con 3 figli», spiega Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori.