Inchieste

Inflazione, gli italiani hanno reagito ma il futuro è lontano

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di Giuseppe Russo Direttore Centro Einaudi di Torino

Il 2023 è stato l’anno in cui l’inflazione è stata messa sotto controllo. Sembra che sia l’inflazione sia la politica monetaria restrittiva abbiano passato il giro di boa. Il peggio è passato? Non lo sappiamo con certezza ma possiamo augurarcelo, come i mercati, che hanno festeggiato nell’ultima settimana gli annunci possibilisti dei banchieri centrali lanciando un mini-rally sia delle azioni, sia delle obbligazioni. Ricordiamo che a dicembre del 2022, ossia giusto un anno fa, il tasso tendenziale di inflazione aveva raggiunto in Italia l’11,6 per cento. Alla fine del 2022 l’inflazione media era stata dell’8,1%, pure con un aumento dei prezzi energetici, in media, in quell’anno, del 50,9%. Nel 2023 l’inflazione è scesa (nei primi 11 mesi) al 6,7% e la decelerazione si è fatta più rapida da settembre, tanto che le previsioni per il 2023, pur variando a seconda delle fonti (dal 2,3% per Confindustria al 3,2% per Reuters), indicano che l’inflazione tendenziale (quella misurata mensilmente sullo stesso mese dell’anno precedente) sta andando rapidamente sotto controllo.

Quali esperienze e quali cicatrici ha determinato, nel portafoglio e nella psicologia delle famiglie, l’anno dell’inflazione? Per rispondere, possiamo usare i risultati dell’indagine annuale sul risparmio e le scelte finanziarie degli italiani, realizzata dal Centro Einaudi con Intesa Sanpaolo sulla base di una survey annuale di circa 1.300 famiglie condotta da BVA-Doxa. I risultati sono freschissimi, dato che essa è stata presentata il 15 dicembre.

Come prima cosa, cominciamo con il dire che l’inflazione ha colto di sorpresa gli italiani. Li ha colti di sorpresa perché era dagli anni ottanta del secolo scorso che le famiglie non dovevano più fare i conti con la perdita di potere di acquisto della moneta, dei depositi, e anche dei risparmi investiti a tasso fisso. Sarà per questa non-esperienza che meno della metà, ossia solo il 46,6 per cento del campione, sa riconoscere tra molte la definizione corretta di inflazione.

Nonostante questo lacuna, che deriva dalla moderata educazione finanziaria degli italiani e dal basso interesse per l’informazione economica, gli intervistati mostrano una percezione esatta dell’andamento dei prezzi che li riguarda; infatti, nelle risposte al sondaggio essi hanno stimato le variazioni dei prezzi di una serie di beni di consumo con una precisione superiore al 90%. Dunque, l’inflazione ha sorpreso, ma l’attenzione al fenomeno è stata elevata. Nessuno l’ha trascurata. Con che reazioni?

La prima reazione è stata di percepire il calo di sufficienza del reddito corrente. Insomma, la percentuale di chi arriva spensieratamente “a fine mese” si è ridotta. Il saldo tra coloro che giudicano sufficiente o non il reddito per sostenere il tenore di vita corrente è sceso in un anno dal 68 al 59 per cento del campione. In altri termini, circa una famiglia su dieci si è sommata a quelle che non hanno un tenore di vita “soggettivamente” sufficiente.

L’inflazione è un fenomeno grave, non solo perché erode il tenore di vita corrente, ma perché le famiglie che non possono sapere quando insorge, non sanno quando finirà, anche se la banca centrale le rassicura: a causa di questa incertezza esse prendono le contromisure. Per esempio cercano di risparmiare di più, per avere più riserve in caso di peggioramento ulteriore delle condizioni economiche. E, in effetti, nel 2023 la percentuale di intervistati che hanno risparmiato è salita dal 53,5 al 54,7 per cento e la percentuale di risparmi accantonati è salita dall’11,5 al 12,6 per cento. E come investono i risparmi?

Lo fanno privilegiando non una asset class o un’altra, ma privilegiando un principio: quello della sicurezza degli investimenti, che vuol dire sicurezza dalla perdita, anche parziale, del capitale, prima caratteristica che gli investimenti devono avere per il 60 per cento del campione, che diventa addirittura 79% se si sommano le risposte date al primo e al secondo posto.

Per quanto riguarda gli investimenti, dopo un 2022 nel quale tutti i rendimenti di tutte le asset class, eccetto l’oro e i preziosi, erano scese insieme, vanificando le virtù dei portafogli diversificati, nel 2023 le obbligazioni hanno recuperato parte della loro precedente quotazione e soprattutto le azioni hanno fatto segnare un rialzo che ha superato i precedenti massimi del 2022. In media, il portafoglio degli italiani ha fatto segnare un rendimento del 6,1 per cento, contro il -11,6 per cento del 2022. Insomma, metà della crisi del 2022 è stata recuperata.

Quanto alle scelte sulle singole asset class, le obbligazioni sono tornate ad essere più acquistate, da ben il 24 per cento del campione. Negli anni erano scese fino al 14 per cento. Adesso le cedole sono tornate e questo le ha rimesse al centro dell’interesse delle famiglie, che però ne apprezzano più la sicurezza, anche come schermo contro l’inflazione che non la cedola semestrale o annuale.

La convinzione che il reddito fisso protegga dall’inflazione sottolinea la incompleta esperienza degli italiani nell’investire in tempi di perdita di potere di acquisto. Il reddito fisso protegge dall’inflazione quando essa è in calo, ma se l’inflazione è in salita non è certo la scelta migliore. In altri termini, solo una aspettativa di calo dei prezzi al consumo renderebbe realmente strategica questa opzione. Invece, per buona parte del campione non è così. In particolare, coloro che sono stati più impattati, formano le aspettative in modo adattivo e si attendono che l’inflazione continui.

Maneggiare gli investimenti in tempo di inflazione è del resto complicato se è la prima volta, tanto che per il timore di sbagliare il 34 per cento considera appropriato aspettare, non fare nulla e tenere la liquidità sul conto corrente (e sui conti correnti o in altre forme liquide giace ancora il 48 per cento della ricchezza finanziaria). Fare nulla, tuttavia, non è gratis: costa molto proprio con l’inflazione e i tassi accresciuti. Eppure, i dubbi su “che fare” hanno sdoganato in un terzo abbondante del campione il comportamento di “scampare l’inflazione nella direzione sbagliata”, cercando rifugio nella liquidità, che con l’inflazione evapora.

C’è una forma di investimento alla quale gli italiani sono rimasti sempre legati, in quasi qualsiasi condizione di mercato: si tratta della casa, che il 30 per cento tondo degli intervistati considera il presidio perfetto contro l’inflazione. L’inflazione certamente può colpire anche gli investimenti nelle case nel brevissimo periodo, per effetto del rialzo del costo dei mutui. Questo fenomeno non è però così evidente nel nostro campione di italiani. Il 18,1 per cento del campione ha in corso un mutuo per un’abitazione, ma in media la rata di rimborso pesa per il 18 per cento delle entrate mensili, ossia più o meno quanto nella media storica. Il 3 per cento del campione ha ottenuto un mutuo nei dodici mesi precedenti e l’1 per cento ha rinegoziato i termini, qualche volta la durata, di un mutuo precedente. L’allungamento delle rate è stata l’opzione per tenere sotto controllo il peso delle rate per i mutuatari che avevano preferito il “tasso variabile” e che hanno dovuto affrontare la crescita del peso del prestito proprio nel 2023.

La percentuale di acquirenti di case da destinare a prime abitazioni nei dodici mesi precedenti il sondaggio è stata del 3,5 per cento del campione, ai quali si sommano l’1,9 per cento di acquirenti di seconde case e l’1,1 per cento di acquirenti di case da fare abitare ai figli. Soprattutto queste due ultime modalità sono in aumento e rivelano un costante appetito di investimenti immobiliari, tutto sommato non deludenti, tra gli alti e bassi del fisco. Ci sono stati anni nei quali le case sono state oggetto di raccolta fiscale e anni, come gli ultimi, nei quali il fisco è stato estremamente generoso – molti ritengono troppo generoso – con i piccoli investitori immobiliari. Gli immobili, inoltre, nel lungo periodo sono visti come un impiego “sicuro”, dove la dimensione della sicurezza non solo è la prima che i risparmiatori privilegiano quando scelgono un investimento (il 79 per cento mette la sicurezza al primo o al secondo posto delle priorità quando si investe), ma la sicurezza degli immobili si tocca praticamente con l’aumento dei prezzi di costruzione, che trascina con sé i prezzi delle case già costruite. Un effetto che il campione di risparmiatori conosce bene, se ben il 16,4 per cento dichiara o di avere acquistato una casa, o di volerlo fare a breve, proprio come risposta all’inflazione.

Il risparmio serve o dovrebbe servire a proteggere dall’incertezza e a rendere sereno il futuro, ossia la propria terza e quarta età e, quando possibile, la vita dei figli. Nel 2023 la dimensione dell’imprevisto, ossia il risparmio precauzionale, si è ridotta. La percentuale di risparmiatori che potrebbe far fronte a un imprevisto (una spesa) da 5mila euro con i propri risparmi è il 37%. Percentuale simile a quella di analoghe inchieste realizzate negli Stati Uniti, ma il fondo di riserva degli americani è assai meno capace: il 37 per cento degli americani infatti potrebbe affrontare una spesa imprevista di appena 500 dollari, non 5.000. Comunque, nell’anno dell’inflazione, l’orientamento non è stato di risparmiare di più e basta, senza destinare l’importo. Abbiamo visto che il risparmio è aumentato, sia come percentuale di risparmiatori del campione che come percentuale del reddito risparmiato, ma non basta. Risparmiare come precauzione pura scende dal 44 al 38 per cento del campione di risparmiatori, perché il risparmio finisce per consumarsi da solo, con l’inflazione, se non ne è messo al riparo. Piuttosto, risparmiare per investire in una casa (magari cambiandola o migliorandola) è un comportamento virtuoso che sale nelle scelte preferibili dal 22 al 30 per cento dei risparmiatori.

Negli anni, per concludere, abbiamo aggiunto alcune domande per sondare il comportamento in merito al futuro di lunghissimo periodo: ossia volevamo cercare i segni di una maturata attenzione verso la previdenza e l’assicurazione dai rischi frequenti quando la vita si allunga, come i rischi di salute e i rischi di invalidità e perdita di autonomia. Sotto questo profilo, l’inflazione non ha aiutato. L’inflazione produce incertezza sul tenore di vita futuro, tanto che in un solo anno il saldo tra coloro che all’epoca della pensione ritengono di avere un reddito sufficiente e insufficiente passa dal 52,8 al 40,3 per cento del campione. Quindi peggiora di un ottavo del campione la quota di chi pensa che nella terza età avrà difficoltà economiche. In questi casi, l’attenzione dei risparmiatori non pensa più al super-futuro e si concentra sulla difesa del presente (e degli investimenti presenti). Di qui l’attenzione alle case, mentre la percentuale di coloro che hanno sottoscritto un fondo pensione resta al modesto: 15,6 per cento del totale, e francamente ci sembra troppo bassa. Nell’ultimo anno è progredita tra le altre una forma di assicurazione: quella sulla salute, forse al traino della pandemia e delle ricorrenti notizie delle difficoltà operative del servizio sanitario nazionale.

Ad ogni modo, l’aumento delle coperture assicurative sulla salute, che adesso si collocano al 10 per cento del campione in termini di diffusione, si è verificato per lo più grazie ai programmi di welfare aziendale e non per l’iniziativa dei singoli. Su tutti gli altri temi legati ai rischi, gli italiani erano e restano piuttosto sotto-assicurati, o perché hanno fiducia nelle risorse proprie, o della famiglia, o in ultima istanza dello Stato. È probabile che questo orientamento debba essere rivisto, per ragioni di realismo, soprattutto considerando l’invecchiamento della popolazione italiana e le correlate condizioni di sostenibilità fiscale del welfare state.

Non possiamo terminare senza gettare un’occhiata nel 2024 insieme ai nostri risparmiatori. Alla domanda sulle aspettative sulle condizioni generali internazionali e dell’economia nei prossimi 12-18 mesi essi hanno fatto prevalere assolutamente le indicazioni di peggioramento, sempre superiori alla metà del campione. Invece, quando abbiamo chiesto quali fossero le aspettative sulle entrate della famiglia, il 92 per cento ha puntato le sue fiches sulla stabilità o il miglioramento. Si tratta, questa, di una risposta che può essere di conforto all’inizio del 2024. La interpretiamo così: se guardiamo molto distante, l’incertezza prevale e non permette ottimismo, ma se ciascuno analizza le proprie condizioni di lavoro e di reddito, sulle quali può giudicare meglio perché ne conosce i sottostanti, la nebbia si dissolve e prevale la fiducia.

L’inflazione, insomma, è stata uno shock, ha colpito il tenore di vita, ha aumentato l’apprensione per il tenore di vita futuro, ma i risparmiatori non si sono fatti prendere dal panico. È vero: non tutti hanno capito a fondo l’inflazione e non tutti sono stati veloci a ridurre la liquidità (tanto che il 48% delle sostanze è ancora liquido), ma le mosse fatte in direzione delle obbligazioni – e anche delle case – evidenziano che il comportamento delle famiglie si sta adattando e sta progredendo. Anche se tutti ci aspettiamo di tornare a un’inflazione ridotta. Chissà che non accada davvero nel 2024. Il 2023 non è stato un anno inutile. Sia perché ha rimediato a metà delle perdite finanziarie del 2022, sia perché ha permesso a tutti di fare esperienza con l’inflazione, magari anche sbagliando. Ma, sbagliando, s’impara.