Inchieste

Interazioni, tecnostress, controlli, sicurezza: i limiti del lavoro agile

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di Alessandro Luongo

«Nelle riunioni in presenza si osserva con grande attenzione il linguaggio del corpo dei partecipanti, è molto più difficile essere fraintesi, ed è anche più facile sdrammatizzare». Secondo Luca Giustiniano, professore ordinario di Organizzazione aziendale all’Università Luiss Guido Carli, è questo il principale svantaggio dello smart working. «Da remoto – chiarisce – si possono perdere delle micro espressioni del viso e del corpo preziose, sfumature importanti, tutto è appiattito e dipendente dalla banda e dalla stabilità della connessione di rete. Si passa così da tre dimensioni a due».

E non solo. «Nel lavoro in presenza è molto più agevole fare leva su relazioni informali che vanno al di là degli schemi organizzativi; relazioni che sono importanti come quelle formali».

Insomma, se il lavoro non è ripensato adeguatamente, lo smart working non funziona. Lo stesso tempo di socialità dedicato alle riunioni su Zoom, ad esempio, si sposta sul livello tecnologico. «Le interazioni di persona hanno uno stile ben diverso: se io attraverso un corridoio, ad esempio, posso bussare alla porta di un collega e chiedere indicazioni utili; online c’è il rischio di sovraesposizione alle tecnologie, prestare attenzione può essere più faticoso, soprattutto se si partecipa in maniera attiva».

Secondo l’Osservatorio di smart working del Politecnico di Milano, diretto da Fiorella Crespi, all’ottobre scorso si calcolavano circa 3,6 milioni di telelavoratori in tutta Italia, fra Pmi, grandi aziende e personale della pubblica amministrazione. Numero che durante la pandemia Covid-19 ha superato il picco di 6,5 milioni, mentre prima del 2020 il lavoro era svolto da casa solo da 570 mila persone. Per il 2023 l’Osservatorio dell’ateneo milanese prevede un incremento dello smart working con numeri simili o superiori a 3,6 milioni.

«Intanto dobbiamo capire cosa s’intende per smart working – riprende Giustiniano – perché in Italia ha un’accezione molto ampia e questa modalità di organizzazione del lavoro ha messo più in difficoltà le Pmi, meno preparate dal cambiamento sociale e colte alla sprovvista dagli impatti della pandemia. Il lavoro è legato ai tempi e alla sede fisica? Se esso è assecondato a tempistiche precise, alla supervisione del lavoro altrui, allora è più complicato controllarlo. Il quadro cambia se il dipendente è invece responsabilizzato sui risultati da raggiungere, invece che sui compiti da svolgere». Nel secondo caso, distaccarsi dal luogo di lavoro e dai tempi, rende difatti più autonomo lo smart worker e lo gratifica maggiormente.

Un altro aspetto critico del lavoro da casa riguarda la tutela dei diritti alla salute e alla sicurezza. Anche su questo punto il docente Luiss mette in risalto i vantaggi della presenza fisica. «L’organizzazione aziendale progetta il luogo di lavoro con delle garanzie che sono più difficili da mettere in pratica quando il lavoro è disperso. Le stesse innovazioni tecnologiche sono diverse. Mouse e tastiere del computer, ad esempio, hanno standard precisi: la tastiera ergonomica è studiata per mantenere una postura corretta. Non è detto, invece, che i propri dispositivi da casa possano essere salvaguardati. La stessa sicurezza e stabilità delle connessioni potrebbero non essere adeguate».

Lavorare da casa, poi, non rischia di far perdere il senso della comunità? «Il luogo di lavoro è soprattutto lo scambio di conoscenza tacita, dove si impara osservando gli altri, si apprendono determinate soft skills in gruppo. Questo è un aspetto cruciale del lavoro in presenza; in altri casi la sede fisica può accentuare alcune criticità nelle relazioni tra colleghi che il lavoro da remoto consente di evitare”.

Di fatto, il telelavoro prima della pandemia era mitizzato, ma ha fatto vivere una situazione molto disagevole: interi nuclei familiari erano costretti a occupare per esigenze di studio e lavoro un unico spazio fisico impiegando le stesse tecnologie. «Una sovraesposizione che ha causato un notevole tecnostress, ma ora l’organizzazione del lavoro si è spostata sul giusto mix di lavoro in presenza e da remoto», conclude il professor Giustiniano.