Inchieste

L’effetto clima minaccia anche banche e assicurazioni

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di Alessandro Luongo

Una pubblicazione scientifica del 2019 sulla rivista Nature Climate Change mostrava come il rischio di fallimento delle imprese, la stabilità del sistema bancario ed il processo di cambiamento climatico siano strettamente legati.

«In particolare – spiega Francesco Lamperti, uno degli autori di quello studio, professore associato di Politica economica alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e membro del panel di esperti della Banca Centrale Europea su cambiamento climatico e stabilità dei prezzi – abbiamo osservato come un rapido mutamento del clima possa portare a conseguenze tali da innescare una crisi finanziaria di dimensioni non dissimili a quella del 2008».

Da allora ad oggi si è verificato un aumento degli eventi climatici estremi nel mondo, in Europa ed in Italia. L’intensità di alcune categorie di eventi è cresciuta, e con essa anche le ripercussioni economiche. L’alluvione in Romagna rischia di essere un chiaro esempio.

«Le conseguenze per il sistema finanziario, fortunatamente, sono contenute, con solo pochi tra fondi, banche e assicurazioni che otterrebbero un consistente aumento di vulnerabilità. Tuttavia, mi preme ricordare, questi risultati sono ottenuti sulla base di dati storici, che poco potrebbero adattarsi ad un futuro incerto. Una nota positiva, tuttavia, riguarda il fatto che le banche centrali e le autorità di supervisione stanno investendo molto nello sviluppo di analisi e strumenti per una migliore comprensione e gestione dei rischi del cambiamento climatico per il sistema finanziario».

Fra i settori più colpiti dal cambiamento climatico in Italia, possiamo far rientrare anche banche e assicurazioni? «Il settore finanziario è peculiare, – continua Lamperti – poiché è fortemente connesso a tutti gli altri. Ogni volta che un’impresa subisce perdite, svalutazioni, o addirittura fallisce a causa di un evento estremo, il comparto finanziario è esposto anche agli effetti che si riverberano attraverso le relazioni commerciali e di credito in cui l’impresa stessa è coinvolta.

Tipicamente, solo gli impatti diretti sono assicurati, il che rende il comparto assicurativo più esposto durante l’evento acuto, e quello bancario più soggetto al rischio cronico generato dal cambiamento climatico». Oltre al rischio fisico, che riguarda le conseguenze di eventi climatici e metereologici, «c’è poi un’altra importante classe di rischio a cui banche ed assicurazioni sono esposte, il rischio di transizione – aggiunge – che si riferisce alle conseguenze che le politiche climatiche e il processo di decarbonizzazione possono generare.

Ad esempio, c’è forte evidenza che imprese con una più alta intensità di emissioni tendano ad avere rendimenti finanziari più elevati, non spiegabili da altri fattori. Questo significa che i mercati abbiano iniziato a richiedere un premio per il maggior rischio sopportato di fronte a un possibile inasprimento della politica climatica. In reazione a questi fenomeni, i grandi investitori istituzionali, che sono tradizionalmente molto esposti ai settori “sporchi”, stanno iniziando a includere i rischi di transizione nella costruzione dei propri portafogli di investimento, seppur in maniera graduale ed esplorativa».

Quali i rischi per le piccole medie imprese dal climate change, in definitiva? «Poiché le banche e gli istituti di credito stanno iniziando ad inserire il profilo di rischio della localizzazione degli immobili usati come collaterale nelle valutazioni creditizie, le piccole e medie imprese dovrebbero guardare con crescente interesse a queste dinamiche».