Inchieste

La bolletta è decuplicata, ora paghiamo 3,34 milioni al mese

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di Giorgio Costa

Produrre le piastrelle costa talmente tanto che converrebbe comprarle in India per rivenderle nel mondo. E allora la scelta è stata forte: per un’azienda che produce ceramica non partecipare al Cersaie, peraltro dopo averne sostenuto tutti i costi, è una scelta impegnativa perché significa perdere la più importante vetrina mondiale del settore. Ma la Moma di Finale Emilia (Modena) – che tra l’altro produce il 70% della piastrella in bicottura italiana per i rivestimenti – non se l’è sentita, con gli operai della linea produttiva in cassa integrazione, di mettersi il vestito bello e andare in Fiera a Bologna come nulla fosse.

La protesta contro il caro gas

Non ci importa se siamo gli unici ad aver fatto questa scelta e altri, magari sottovoce, la pensino come noi – spiega Bruno Migliorini, direttore finanziario di un gruppo che si avvia a chiudere il 2022 con un fatturato vicino ai 140 milioni, erano 108 nel 2021, grazie al lavoro di quasi 400 addetti – ma non ce la siamo sentiti di andare a fare festa, perché anche questo sono le fiere, quando avevamo 200 operai in cassa integrazione.

La nostra vuole essere anche una forma di protesta contro l’idea che alla fine le imprese devono trovare una soluzione ai problemi, anche quando sono più grandi di loro perché non dipendono da loro. E contro una silenziosa accettazione del contesto in cui ci siamo venuti a trovare, nella consapevolezza che i segnali del dissesto economico, causato dalle speculazioni sul mercato dell’energia fossero presenti già dalla fine del 2021, quando il conflitto Russia-Ucraina era solo un lontano rischio.

E ora il “contesto” si chiama prezzo del gas. In Moma ad esempio, si è passati da un costo mensile di 300mila euro ad uno di 3,3 milioni. Un costo insostenibile non più scaricabile sui listini di vendita. E così l’azienda ha deciso un fermo produttivo per il mese di settembre e la produzione riprenderà a giorni.

È inaccettabile – spiega Migliorini – pensare che aziende come la nostra debbano sostenere costi mensili, per il solo consumo di gas, pari a quelli da mettere in campo per acquistare grandi impianti produttivi, fondamentali per restare competitivi e per contrastare la concorrenza di Paesi che di costi energetici e sociali non si preoccupano. E’ inaccettabile sapere che molte imprese, con i contratti del gas e dell’energia elettrica in scadenza, non abbiano alcuna certezza se potranno avere i rinnovi delle forniture, già sapendo che saranno comunque obbligate o a pagare anticipatamente alcune mensilità o a fornire fideiussioni per garantire ai gestori dell’energia il loro credito. E il tutto a causa di fattori esterni alle aziende». «E’ necessario – continua Migliorini – eliminare ogni ambito speculativo sull’intero mercato dell’energia, congelando ad esempio l’incomprensibile quotazione degli Ets, cioè il meccanismo legato alle emissioni delle C02 e alla loro progressiva riduzione. Ciò che doveva essere un percorso virtuoso è stato lasciato in mano alle speculazioni di un mercato incontrollato.

Ad oggi, alle imprese non resta che scaricare i costi sui listini di vendita.

Fino a che il mercato regge però – spiega Migliorini – perché la rincorsa dei prezzi non può essere infinita. Ora converrebbe comprare le piastrelle in India e rivenderle in Italia, perché in tutto il Far east il problema energetico non esiste.

Il sovrapprezzo che le imprese applicano si chiama contributo energia, che in Italia viaggia al massimo intorno ai 3 euro al metro quadrato ma che il principale gruppo spagnolo sul mercato, Pamesa, ha portato alla soglia massima di 8 euro, quando la piastrella in sé ne costerebbe 5.

Ma noi – spiega Migliorini – abbiamo investito in pochi anni 40 milioni per produrre nelle nostre fabbriche, che mostrano cultura industriale, design, innovazione e una capacità incredibile di resistere alle avversità degli ultimi anni: terremoto, pandemia e ora prezzo del gas. Se non si faranno interventi , rapidi e strutturali, l’intero settore ceramico si vedrà sopraffatto da Paesi che per quanto distanti, sono in grado di produrre a costi “energetici” radicalmente inferiori ai costi sostenuti in Italia. Noi, come Moma, decidendo di fermare la produzione e di non partecipare al Cersaie, abbiamo voluto lanciare un grido di allarme a nome dell’intero settore.