Inchieste

La memoria racconta la cultura d’impresa

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di Paola Stringa

La nostalgia, lungi dall’essere fine a se stessa, rappresenta una leva importante per il marketing contemporaneo e la comunicazione d’impresa, che diventa strategia di innovazione che coinvolge i brand, dal posizionamento, sino alla comunicazione di prodotto.

L’Heritage marketing e il Retro marketing, con strumenti diversi, mettono questa dimensione al centro, per raccontare storie ai consumatori e costruire, o rafforzare identità aziendali.

«La memoria, sia per chi ha un patrimonio storico, sia per chi ne costruisce uno a tavolino, può costituire il punto di partenza per avviare nuovi progetti, nuovi modelli di business e proposte di valore, trasformando così la percezione della propria organizzazione e del proprio marchio presso i consumatori» afferma Daniela Bavuso, consulente di strategie aziendali e autrice (insieme a Natale Cardone) del libro Retro marketing (LSWR edizioni).

Gli storytelling nostalgici attivati da molti brand oggi (da Ray Ban a Mulino Bianco, da Barilla a Grappa Nonino) non necessariamente si rivolgono a consumatori che hanno già sperimentato quel brand nel passato, o i cui prodotti hanno accompagnato una stagione della propria vita, a volte si rivolge a Millennial che, anche se non hanno vissuto quel retaggio, sono orientati verso scelte d’acquisto fortemente emozionali e in grado di attivare visioni del mondo. «Le organizzazioni – conclude Bavuso  – non possono più ignorare il fatto che la retro strategy non è finalizzata solo a creare campagne di comunicazione di appeal e creative, ma si tratta di un vero e proprio processo di evoluzione che parte dal loro interno e i cui benefici in termini di coerenza e coesione, sono appunto strategici».

Per quanto riguarda il museo aziendale, è il luogo fisico dove si materializza il patrimonio materiale (e immateriale) dell’impresa, si celebra l’heritage e si connette con la memoria collettiva e con i progetti futuri. Dal Centro storico Fiat di Torino al Museo dell’Alfa Romeo di Arese, che raccontano, oltre che la storia dei rispettivi brand, anche una parte rilevante della storia industriale italiana, c’è una rete di decine di spazi che conservano la nostra cultura del saper fare, dal caffè al cioccolato, dalle moto ai cappelli, dalle calzature alle acque minerali. Ci sono musei che mettono al centro la storia del brand e musei che mettono al centro la storia dell’impresa; altri ancora che, quasi come per gli artisti o gli stilisti, mettono al centro la figura dell’imprenditore (si pensi allo studio museo di Mario Buccellati o all’Armani silos). Ci sono, infine, anche musei dei distretti produttivi, come quello del Cibo (a Parma).

Anche se non li comprende tutti, nel 2001, per iniziativa di Assolombarda e Confindustria, è nata Museimpresa, l’Associazione Italiana Archivi e Musei d’Impresa, che riunisce oltre 100 musei e archivi di grandi, medie e piccole imprese italiane.

Oltre a salvaguardare questa potente memoria collettiva, si occupa di iniziative volte a valorizzare la cultura manifatturiera italiana, favorire lo scambio e la diffusione di conoscenze e di esperienze all’interno della comunità museale e svolgere attività di ricerca e sviluppo.