Inchieste

L’aumento dei tassi frena le imprese, non le famiglie

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di Mariarosaria Marchesano

Quando all’orizzonte si intravedono nubi di crisi, il termometro dei prestiti a famiglie e imprese –molto sensibile alle variazioni della congiuntura economica – di solito fa registrare una diminuzione di domande di finanziamenti delle prime e un aumento delle seconde. E questo perché i privati tendono a rinviare le decisioni di acquisto, di beni importanti come gli immobili, ma anche di automobili ed elettrodomestici, e le aziende, che temono la riduzione di fatturato e liquidità, si affrettano a mettere fieno in cascina per finanziare l’attività produttiva.

Ebbene, in Italia si sta verificando esattamente il contrario, secondo le ultime rilevazioni del sistema di informazioni creditizie di Crif-Eurisc.

Nel mese di ottobre, le richieste di prestiti (personali e di consumo) da parte delle famiglie, invece di ridursi, crescono del 10% rispetto allo stesso periodo del 2021 mentre le domande di nuovi mutui residenziali restano sostanzialmente stabili. Per contro, le domande di credito da parte delle imprese, invece di aumentare, sono calate del 4,6%.

È come se, pur consapevoli della recessione in arrivo (le previsioni dicono fine 2022-inizio 2023), gli italiani si comportassero come se nulla dovesse succedere, diversamente da quanto è accaduto in passato, assicurano gli analisti di Crif. Come mai?

«La crisi è attesa ma non ancora realmente percepita», dice al Settimanale Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma, che a fine mese presenterà il rapporto annuale sul settore immobiliare, in cui prevede un repentino rallentamento delle compravendite tra il quarto trimestre di quest’anno e il primo dell’anno nuovo.

Le famiglie sono consapevoli che ci sarà un peggioramento delle condizioni economiche, ma non hanno ancora allineato i loro comportamenti, con una battuta potrei dire che abbiamo ancora la pancia piena.

Eppure, tra inflazione e caro energia, l’impatto già si sente sulle bollette e nel carrello della spesa. «È vero – continua Dondi – ma con un Pil in forte crescita nel primo semestre e ancora col segno positivo, e con gli aiuti messi in campo dal governo, l’impatto del rallentamento non è pienamente visibile. E poi questa è una crisi esogena, tra guerra in Ucraina e un’inflazione da offerta generata dall’aumento del prezzo dei beni energetici, è anche percepita un po’ come estranea.

Attenzione, però, perché per arrivare la crisi arriverà, e lo vedremo anche molto presto. Nel mercato immobiliare residenziale, che ha avuto un andamento positivo per i primi nove mesi dell’anno, il sentiment degli agenti intermediari segnala che il ritmo delle compravendite ha già cominciato a frenare». Dondi fa il paragone con quello che talvolta si vede in Borsa quando una società che sta andando male distribuisce generosamente agli azionisti dividendi dell’anno precedente.

Stiamo godendo i frutti del passato, il grosso impatto deve ancora arrivare.

Anche il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha detto che i sintomi di una recessione «in termini matematici» non si vedono ancora, anche se, come emerge sempre da un’indagine di Crif, a giugno 2022 c’è stato il primo incremento dei tassi di default dei prestiti a famiglie e imprese. L’ultima volta che è stato rilevato un trend simile risale a giugno 2019, in un periodo antecedente la pandemia e gli interventi governativi a sostegno del credito. L’aumento del tasso di default, particolarmente evidente per le società di capitali (+13% rispetto a giugno 2021), è probabilmente collegato alla fine dei piani di preammortamento della finanza agevolata, motivo per cui l’Abi chiede che l’Europa conceda la possibilità di nuove moratorie a imprese e famiglie.

Del resto, se c’è un settore in cui l’effetto del cambio di scenario è già visibile è quello dei mutui residenziali. Non tanto di quelli nuovi, poiché, come abbiamo visto, la domanda non si è ancora contratta, ma per quelli in essere a causa dell’aumento dei tassi d’interesse deciso dalla Bce.

«L’incremento dell’indice Euribor a 3 mesi – passato da -0,50% medio di marzo 2022 al +1,3% medio di settembre – ha prodotto un significativo aumento dell’importo della rata dei mutui a tasso variabile in via di rimborso, spingendo le famiglie verso contratti a tasso fisso o tasso variabile con cap» spiega Simone Capecchi, executive director di Crif. «Malgrado la situazione di perdurante incertezza, permane la vivacità della domanda dei mutui da parte dei giovani, con oltre un terzo delle richieste presentate da under 35». La Bussola di Mutui Supermarket fa notare, inoltre, che osservando le quotazioni dei future sull’Euribor a tre mesi scambiati al mercato Liffe di Londra, si può dedurre che gli operatori di mercato si attendono un Euribor a tre mesi in crescita fino al 3 per cento a novembre del 2023, cosa che dovrebbe spingere ulteriormente la richiesta di prestiti verso il variabile con cap.

Sul fronte delle imprese la dinamica dei prestiti è differenziata a seconda delle dimensioni. «In questi mesi si è consolidata la tendenza da parte delle imprese a chiedere un minor numero di finanziamenti ma mediamente di importo più elevato – dice Capecchi – La frenata, comunque, riguarda soprattutto le imprese individuali, che in questa fase risentono maggiormente della situazione di incertezza». Questa tipologia di imprese, d’altronde, rappresenta anche quella potenzialmente più rischiosa per le banche le quali, come fa osservare Dondi, «hanno cominciato a rendere più restrittive le condizioni per erogare credito perché temono un aumento delle sofferenze».

Che la preoccupazione esista anche a livello di vigilanza lo dimostra lo scontro in atto tra la Bce e le banche europee, con la prima che esorta le seconde a preservare la solidità del capitale in vista di tempi bui e istituti – come Unicredit – che vorrebbero sentirsi più liberi di distribuire ricchi dividendi agli azionisti. Insomma, la festa è finita ma non sono solo le famiglie italiane a non essersene ancora accorte.