Inchieste

L’Italia non è pronta per la sfida del PNRR

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di Alessandro Luongo

Professor Gustavo Piga, nei prossimi dieci giorni il governo Meloni porterà a casa altri 15 obiettivi. Per il 2022 l’Italia dovrebbe avercela fatta?

«Sì e no. Bisogna capire se verranno raggiunti bene o male, perché occorre anche la sostanza per ridare forza e produttività al Paese, non basta la forma. Nel 2000 avevamo il 18% di Pil in area Euro, per fine 2023 saremo al 12%. Questo significa una perdita di potere economico ma anche politico. Nel post Covid abbiamo perso il 17% di Pil, eppure abbiamo anche il PNRR dalla nostra parte, qualcosa non va…».

Piga, docente di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, è cofondatore con Gaetano Scognamiglio di ORePOsservatorio sul Recovery Plan – progetto promosso nel 2020 dal Dipartimento di Economia e Finanza dell’ateneo e da Promo PA Fondazione.

«Siamo nati dal fallimento dell’informazione della Pubblica amministrazione, della sua incapacità di riportare alla collettività cosa sta succedendo in merito; molte imprese, infatti, si sono rivolte a noi per cercare le informazioni e i bandi».

Piga è dunque scettico anche sul 2022, per quanto riguarda le possibilità di successo degli obiettivi, e cita due esempi concreti: «Prendiamo l’assegnazione dei 7.500 alloggi universitari; saranno poi davvero occupati dagli studenti al Sud o rimarranno vuoti? E poi, la riforma della giustizia. Come si fa a ridurre i tempi dei processi se non viene rinforzato l’apparato giudiziario assumendo giudici e cancellieri? Raggiungere l’obiettivo significa andare oltre la forma e verificare che esso permetta la reale crescita del Paese».

Il vero nodo poi è spendere i soldi, ovvero la cosiddetta “messa a terra”. «Le imprese devono lavorare, produrre occupazione – riprende Piga – partecipare alle gare. Su 27,5 miliardi di euro assegnati per il 2022, le previsioni più ottimistiche indicano che ne saranno spesi 15. Un ritardo di aggiudicazione dei bandi che avrebbe permesso all’Italia d’incrementare il Pil dell’1% e dunque del 2% con il relativo indotto. Un ritardo che si spiega nell’incapacità di avviare le gare insieme alle imprese».

E qui arriviamo al nodo cruciale per il cofondatore dell’osservatorio sul Recovery Plan. Da cosa deriva questa grave lacuna?

«È un problema quantitativo, in Italia le piante organiche sono state depauperate, abbiamo difatti la Pubblica amministrazione più vecchia e piccola d’Europa. Assumere personale poi non basta, deve essere qualificato. Servivano almeno 13-14 miliardi per formare e selezionare 17mila progettisti nei Comuni, invece sia Conte sia Draghi hanno stanziato solo 720 milioni di euro per contratti a tempo determinato per tre anni (un tempo stimato). Una battaglia persa in partenza se si pensa che le assunzioni sono arrivate con una selezione del personale tramite quiz a risposta multipla, senza nemmeno guardare in faccia i candidati come fa qualsiasi azienda prima di ingaggiarli».

Per Piga, infine, non è il 2023 il vero banco di prova del PNRR, nemmeno il 2024, o gli anni a venire.

Il Paese non è pronto a questa sfida, anche se ci sono i soldi; abbiamo poco personale e poco qualificato. E poi l’Europa con il PNRR ci dà una mano, con l’altra c’invita a tirare la cinghia, quindi dovremo portare a termine i progetti con il personale delle amministrazioni disponibile. Fra l’altro, il mondo dell’università non è mai stato coinvolto nella loro formazione.

Altra criticità è la riorganizzazione delle stazioni appaltanti, circa 32mila, frazionate e senza personale competente, appunto.

«Come è noto, le cifre stanziate per i bandi non sono sufficienti a causa dell’aumento delle materie prime e crisi energetica, bisognerà fare per forza degli aggiustamenti. Il problema è che lo Stato non si fida delle stazioni appaltanti e dovrà così approvare dei decreti per aumentare le gare dell’80%; ci vorrà tanto tempo per approvarle e i costi nel frattempo aumenteranno, e si farà tutto dall’alto. Occorre invece dare fiducia a chi compra. La mia impressione è che arriveremo dunque al 2026 con la metà dei progetti approvati e realizzati effettivamente. Un vero fallimento, un ritardo nella crescita del Paese che avremmo potuto evitare puntando da subito sulle competenze del personale degli enti locali».