Inchieste

Pecoraro Scanio: “Rinnovabili, basta a no ideologici e forzature”

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di Gabriele Politi

Alfonso Pecoraro Scanio è uno dei padri dell’ambientalismo italiano. Già ministro delle politiche agricole e dell’ambiente, presidente della Federazione dei Verdi, ora a capo della Fondazione UniVerde.

Quali sono a suo giudizio le soluzioni migliori per fronteggiare il caro energia di questi mesi?

Di fronte alla crisi energetica forse, invece di mostrare solo le drammatiche bollette di cittadini e di imprenditori che si vedono decuplicare il costo dell’energia, dovremmo far vedere le bollette di imprese e famiglie che hanno fatto investimenti sull’efficienza energetica e sulle rinnovabili, perché ci sono famiglie che pagano la bolletta solo 30-40 euro e aziende che hanno avuto una drastica riduzione dei costi energetici grazie all’investimento sulle rinnovabili.

Chi produce energia dal sole e dal vento, dalla geotermia, paga molto meno la bolletta già oggi.

Cosa significa? Significa che probabilmente quello che è stato sbagliato è aver rallentato la spinta sulle rinnovabili che era partita quando io ho fatto il “Conto Energia” (febbraio 2007). Questa è l’unica fonte di energia gratuita, non c’è una concessione da pagare sul sole o sul vento come c’è sul gas, sul petrolio, sul carbone e anche sul nucleare. Tutte queste altre fonti hanno prezzi spaventosi e oggi il kilowattora prodotto dal solare credo costi un quarto di quello nucleare e metà di quello dei fossili.

La tecnologia è andata avanti e un Paese forte con la tecnologia come il nostro ha la capacità di trasformare le fonti rinnovabili in energia. Abbiamo anche strumenti come l’idrogeno e le batterie per conservare questa energia e usarla quando ci serve di più. Questo rallentamento, partito tra l’altro da un po’ di anni, è stato molto negativo perché avremmo avuto molta più indipendenza con un maggior utilizzo delle rinnovabili.

Se ne sta discutendo nell’UE: ci sono Stati membri che con questa crisi stanno facendo affari d’oro e altri che sono in gravissima difficoltà. Secondo lei il Price Cap sarebbe uno strumento efficace?

Innanzitutto, si deve avere il coraggio di uscire dalla borsa olandese. Questa borsa del gas è francamente una vergogna perché movimenta una cifra minima rispetto alle risorse reali e consente all’Olanda di creare un meccanismo speculativo per cui il prezzo del gas è aumentato ben prima della crisi bellica.

Siamo di fronte a quelli che si chiamano extraprofitti. In realtà è un furto nelle tasche dei cittadini, delle famiglie e degli imprenditori. Di sicuro ci vuole il tetto, è giusto lo sdoppiamento perché io non posso fare sul gas il prezzo dell’elettricità di tutto un continente.

Poi ci vorrebbe un’Unione europea che sia meno sovranista perché alla fine questi Paesi che si dicono europeisti in realtà sono sovranisti. Se l’Olanda non vuole toccare niente delle sue regole nazionali e vuole lucrare su quella borsa, o la Germania dice che non si può fare quello che è giusto, ovvero un recovery plan comune, un fondo comunitario per affrontare la crisi energetica, e poi dà 200 miliardi ai suoi imprenditori per aiutarli a fare concorrenza sleale agli imprenditori italiani, questo non è sovranismo?

È un sovranismo in salsa mitteleuropea, ancora più scandaloso e intollerabile perché fatto da chi è molto ricco.

Ha già toccato il tema: autosufficienza energetica e fonti energetiche. La narrazione pubblica spesso si è concentrata sulla cosiddetta “cultura del no”, ai rigassificatori, al nucleare, alle pale eoliche perché deturpano il paesaggio. Proprio al Settimanale Chicco Testa ha dichiarato che il futuro risiede in un mix tra fonti rinnovabili ed energia nucleare. Come conciliare queste due istanze?

Nel 2022 parliamo sempre di nucleare da fissione, cioè il nucleare che esiste oggi; non c’è il nucleare “pulito”.

Quando la tecnologia consentirà di creare un nucleare davvero pulito allora apriremo la discussione ma rischiamo di essere ben al di là dei limiti che ci stiamo dando per evitare la catastrofe climatica. Abbiamo di fronte uno scenario quasi apocalittico che è quello di un eccessivo cambio del clima, già vissuto con le siccità e con le alluvioni. Quindi quando parliamo di “cultura del no” dobbiamo dire che l’Italia dovrà ringraziare il no al nucleare, tra l’altro l’8 novembre sono esattamente trentacinque anni dal referendum dopo la catastrofe di Chernobyl.

Oggi siamo in piena emergenza nucleare non solo per il rischio bombe atomiche russe ma perché rischia di esplodere la centrale nucleare di Zaporizhzhia. Perché? Perché una centrale nucleare è un possibile obiettivo di guerra. E anche se si spera che i rischi non siano tantissimi, qualora accadesse un incidente diventerebbe un disastro di dimensioni apocalittiche.

Mettersi oggi a fare centrali nucleari in Italia significa costruire tra vent’anni. Poi intendiamoci sui no: ci sono no di buon senso e l’Italia ha detto un no di buon senso perché avremmo avuto, nel migliore dei casi, l’effetto della Francia, dove non sanno dove mettere le scorie e l’EDF, azienda equivalente dell’Enel, è stata nazionalizzata perché a rischio fallimento. Non capisco dove ci sia il vantaggio.

L’altro problema è che la cultura del no rischia di essere a volte esasperata dalla mancanza di capacità di gestire i rapporti con le comunità locali.

Le cose le spieghi? Poi puoi avere una piccola minoranza che è per il no a prescindere e quella la riesci a isolare. Ma quando come spesso accade in Italia hai un’intera comunità che dice no allora ti devi interrogare.

Io sostengo il fotovoltaico offshore, per esempio, grandi pale al largo a cinquanta chilometri dalla costa.

E ho visto dei parlamentari regionali siciliani leghisti che si sono opposti dicendo che forse in quella zona c’erano i residui delle guerre puniche: hanno trovato due anfore in 2500 chilometri quadrati. Allora è chiaro che lì si parla del no ideologico.

Esempio rigassificatori: se a Piombino tutti dicono di no mentre sull’Adriatico alcune realtà lo vogliono, perché io devo insistere per forza a realizzarlo laddove c’è una forte ostilità della popolazione? Il Tirreno ha il fondale molto basso, magari nell’Adriatico si riesce a farlo a maggiore distanza e si realizzerebbe un’opera positiva. Io dico: evitiamo l’arroganza di quelli che dicono “noi le opere le faremo con l’esercito”.

A proposito di semplificazione: cosa pensa del decreto Cingolani e di come sta venendo attuato?

Credo che in Italia ogni decreto semplificazione molte volte sia una complicazione. Se il decreto finisce per far ripartire da zero tutte le proposte autorizzative rischia di allungare i tempi; acceleriamo le procedure già in atto ma non sovrapponiamo nuovi sistemi autorizzativi.

Ci sono cose che sono indispensabili e si devono tutelare. Ce ne sono altre che, invece, sono sovrastrutture burocratiche e le devi eliminare.

In Italia qual è uno dei grandi danni che si fanno? Non si fa mai la Var, la Valutazione ambientale strategica. Vogliamo l’eolico? Perfetto. io Stato faccio una valutazione e dico: queste sono le zone dove si può fare, qua non si può fare. Non aspetto che arrivi la domanda, poi apro un contenzioso e alla fine dico di no. Credo che la vera semplificazione sia quando lo Stato dice prima dove si possono fare le cose e poi consente velocemente ai privati di realizzarle.

Ultima domanda sull’attualità politica di casa nostra. Che governo si aspetta e cosa dovrà mettere ai primi posti della sua agenda?

Penso che il governo sarà un governo politico, ci sarà qualche tecnico e spero davvero che ci sia la capacità di capire un contesto internazionale dove il Green New Deal è quello, il Pnrr è sulla transizione ecologica e digitale, quindi alcune scelte devono andare in una direzione giusta.

Lo si fa per le future generazioni. Aggiungo che a novembre noi abbiamo cambiato per la prima volta la Costituzione, all’articolo nove: da febbraio tutela l’ambiente, la biodiversità, gli ecosistemi e i diritti degli animali. Qualunque sia il governo deve adeguarsi al nuovo dettato costituzionale.

Quindi una delle prime cose che io mi sento di chiedere è che il governo abbia un dicastero che non si chiami solo transizione ecologica ma si chiami tutela dell’ambiente, della biodiversità e magari transizione ecologica. Con il cambio della Costituzione bisogna riposizionare la transizione ecologica come uno strumento per tutelare l’ecosistema dove viviamo, visto che il cambiamento climatico sta mettendo in discussione la sopravvivenza stessa della specie homo sapiens sul pianeta.