Inchieste

Po in secca: un’agonia di 652 chilometri

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di Chiara Giannini

È la peggior crisi degli ultimi settant’anni, con un calo della disponibilità idrica del 20% e una prospettiva di risoluzione per ora molto difficile. La morsa della siccità che tiene l’Italia col fiato sospeso trova nel Po, il fiume più lungo dello Stivale, con i suoi 652 chilometri di percorso, l’esempio più eclatante.

Con la stagione delle semine alle porte, tanto per capire la gravità della situazione, al Ponte della Becca, in provincia di Pavia, è arrivato a -3,3 metri rispetto allo zero idrometrico, con le rive ridotte a spiagge di sabbia come accade in estate. E questo è un bel problema, perché le conseguenze di una secca così importante sono innumerevoli: meno acqua per 16 milioni di persone, meno specie viventi, meno risorse per le aziende delle quattro regioni attraversate dal fiume (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto), che tutte insieme producono circa il 40% del Pil nazionale.

Stando ai dati riportati in uno studio dell’Adbpo (Autorità di bacino distrettuale del fiume Po), «sul bacino sono localizzate circa un terzo delle imprese italiane (il 46% degli occupati in Italia), con un numero degli addetti prevalente nel settore industriale (oltre 3 milioni) e terziario (oltre 2,7 milioni). Il settore produttivo agricolo è molto sviluppato e occupa il più ampio nucleo di terre coltivate (3.400.000 ettari) sul totale nazionale, e copre il 35% della produzione nazionale».

Dal Po, per intenderci, ogni anno vengono prelevati circa 20 miliardi di metri cubi di acqua dedicati all’agricoltura e all’industria. Una secca così devastante che persino la sonda europea Sentinel-2 è riuscita a fotografarla dallo spazio.

Ma quali sono le ragioni di una siccità così importante?

Stefano Mariani, ricercatore dell’Ispra, spiega al Settimanale che «la situazione a cui stiamo assistendo è dovuta a un deficit di precipitazioni che sull’Italia del Nord in particolare si registra già da fine 2021. In sostanza, si tratta di un perdurare di una mancanza di piogge che si somma a un aumento delle temperature che in alcuni mesi dello scorso anno è stato anche estremo».

Che cosa si può fare per risolvere questa situazione? «In primis – continua Mariani – bisogna dire che abbiamo registrato da un po’ di tempo una minore disponibilità media di risorse idriche sul territorio nazionale. In particolare nell’ultimo trentennio climatologico, ovvero dal 1991 al 2020, la disponibilità idrica è diminuita del 20% se rapportata al dato storico più vecchio disponibile che abbiamo, ossia quello del trentennio 1921-1950. Ecco perché servono misure importanti».

Va detto che «si deve agire sulla riduzione delle emissioni di gas serra che però avranno un impatto non nell’immediato e al contempo bisogna operare tenendo in considerazione che abbiamo meno disponibilità di risorsa idrica e quindi dobbiamo gestirla in maniera differente. Le soluzioni attuali sono molteplici: da misure di tipo strutturale a un attento monitoraggio che nel breve periodo può farci rendere conto di quanta acqua disponiamo e come utilizzarla al meglio».

Su questo fronte, già nel Pnrr sono stati inseriti interventi ad hoc per il Po e il governo ha appena approvato il Decreto siccità, che prevede misure a breve e lungo termine, con la creazione di un commissario nazionale. Misure che «troveranno immediata attuazione» e serviranno per affrontare il problema da tutti i punti di vista: dalla raccolta e l’utilizzo di acqua piovana, alla depurazione delle acque reflue, agli impianti di desalinizzazione.

Si potranno realizzare vasche di raccolta di acque meteoriche per uso agricolo entro un volume massimo stabilito e riutilizzare le acque reflue depurate per uso irriguo, tra le tante cose. Nel decreto si parla anche di desalinizzazione dell’acqua marina e dell’aumento dei volumi utili degli invasi. La realizzazione delle opere rinvia al modello Pnrr e vi sarà una cabina di regia che effettuerà la ricognizione degli interventi di urgente realizzazione per far fronte, nel breve termine, alla crisi idrica. In sede di Pnrr per le misure per contrastare la secca del Po sono stati stanziati 357 milioni di euro utili a «rendere efficiente la risorsa idrica all’interno dell’asta del fiume».

I due attori attivamente coinvolti sono Aipo e l’Autorità di bacino. Il programma interessa 28mila ettari e sono 56 i siti di intervento sul Po già mappati. Ciò a cui si sta puntando è il favorire una «maggiore circolazione dell’acqua, intervenendo anche sulle difese artificiali». E poi piantumazioni e riattivazione delle vecchie lanche adesso occluse. Insomma, ci si sta dando da fare, come in Veneto.

Il governatore Luca Zaia racconta al Settimanale:

La siccità è un problema reale, è sotto gli occhi di tutti. Siamo in un periodo dell’anno durante il quale l’alveo dei fiumi e le falde dovrebbero essere vicini ai massimi della loro capacità. Invece, a inizio primavera, stiamo fronteggiando un’emergenza idrica. Possiamo aggrapparci alla speranza, nelle piogge, che arriveranno. O possiamo – come stiamo facendo in Veneto – lavorare perché il tema dell’acqua sia centrale nella pianificazione. Siamo una delle poche regioni italiane che ha scelto di istituire, ad esempio, una propria società in house per la gestione dell’acqua. È Veneto Acque: orientata alla progettazione e costruzione del Modello Strutturale degli Acquedotti del Veneto: una rete composta da grandi infrastrutture idriche che interconnettono i gestori locali, in grado di garantire sicurezza negli approvvigionamenti, risparmio idrico ed energetico e di aumentare la resilienza complessiva a fenomeni come quello della siccità». E prosegue: «Stiamo investendo in impianti e infrastrutture, per contenere lo spreco e trattare le acque: cito solo, fra i vari cantieri, la nuova rete che collegherà Camazzole, fra le province di Vicenza e Padova, con il delta del Po, portando 950 litri al secondo di acqua potabile dove il cuneo salino compromette la possibilità di poterla utilizzare, anche per usi civici. Serve quindi investire in infrastrutture, ma anche in modelli di utilizzo consapevole e oculato: la parola ‘spreco’ non deve potersi più affiancare all’acqua.

Il sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti, Edoardo Rixi, ci chiarisce che «dopo il Codice degli appalti il governo ha semplificato anche il settore idrico. Il livello idrometrico del fiume Po è allarmante in vista dell’estate e registriamo anche lo scarso potenziale idrico stoccato sotto forma di neve nell’arco alpino e appenninico. Sul bacino sono previsti interventi di manutenzione straordinaria delle traverse di regolazione dei grandi laghi naturali come Garda, Maggiore e Iseo. Siamo al lavoro sul miglioramento e la riduzione delle perdite dai grandi canali irrigui, come il canale Villoresi, insieme alla progettazione e al miglioramento delle opere a protezione del cuneo salino nei diversi rami del Delta del fiume». E ancora: «Sono previsti nuovi adduttori acquedottistici, anche con prelievo da grandi dighe anziché da falda come l’acquedotto Valle Orco in Piemonte. Siamo pronti poi con interventi per ottimizzare la gestione dell’acqua in ambito di distretto in alcune città del bacino idrografico tra cui Milano, Bologna e Piacenza. Misure chiave in vista della prima riunione della cabina di regia sulla crisi idrica guidata dal ministro Matteo Salvini, quando verranno approfonditi anche gli aspetti economico-finanziari».

La senatrice Simona Petrucci (FdI) in commissione ambiente, tiene a dire: «Riguardo alla crisi idrica si è fatto in questi anni un gran parlare, senza risultati degni di nota. La consapevolezza, da sola, non basta. Per la prima volta questo governo ha iniziato a considerare la questione non più come un’emergenza ma come un problema strutturale. In particolare, la situazione di perdurante sofferenza del Po, con conseguente rischio per l’ecosistema e per le imprese che vi traggono energia, rischia di continuare ad aggravarsi. Ecco perché il governo, con il decreto siccità, ha dato una risposta i cui effetti saranno presto visibili e soprattutto misurabili».