Inchieste

Realacci: “Italia al top nell’economia circolare ma indietro con le rinnovabili”

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di Gabriele Politi

Intervista a Ermete Realacci, a capo di Fondazione Symbola, storico ambientalista, fondatore del Kyoto Club, presidente onorario di Legambiente ed ex parlamentare.

Si poteva evitare la crisi energetica di questi mesi, iniziata già prima del conflitto in Ucraina?

Ermete Realacci (Fondazione Symbola)
Ermete Realacci (Fondazione Symbola)

R. Sicuramente la si poteva ridimensionare molto, se avessimo agito per tempo con politiche efficaci. A cominciare da un uso efficiente dell’energia e un ricorso più esteso alle fonti rinnovabili che ci garantiscono bollette più leggere, prezzi contenuti e più libertà.

L’Italia è un Paese virtuoso nell’economia circolare, nella quale siamo leader europei nel recupero dei rifiuti prodotti nei cicli produttivi: ne recuperiamo il 79%, molto più della media europea e della stessa Germania, e questo ci fa risparmiare ogni anno 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. Siamo avanti anche per l’efficienza dell’uso di risorse. Ci siamo però fermati per quanto riguarda la produzione elettrica da fonti rinnovabili al 2013-2014: circa il 34%. La Germania che nel 2005 era al 5%, essendo priva di idroelettrico, ora è al 50% e punta all’80% nel 2030 e al 100% nel 2035.

Per gestire questa crisi e questi anni è necessario diversificare gli approvvigionamenti e non consegnarsi al ricatto di alcuni Paesi produttori come la Russia. Era chiaro da tempo. Alla metà degli anni ’90 Legambiente, che puntava a sostituire con il metano il carbone, sostenne un referendum per realizzare un rigassificatore a Monfalcone. Erano contrari tutti gli altri ambientalisti, molte forze politiche e la stessa Eni. Sapevamo di perdere, ma bisognava assicurare all’Italia sicurezza nell’approvvigionamento e nei costi. Se le cose fossero andate diversamente ora saremmo più forti.

Sempre in questi anni sarebbe stato meglio concentrarsi sulla riduzione degli sprechi. Quando fu eliminata l’IMU sulla prima casa, scelta necessaria per le famiglie più deboli economicamente, questa valeva in media 220 euro. Ma già allora la bolletta energetica di un appartamento valeva più di 1500 euro, ora molto di più. Ridurla di un terzo avrebbe abbattuto bollette ed inquinamento e prodotto tanto lavoro di qualità. Da lì bisogna ripartire.

Alcuni osservatori notano che fino a pochi mesi fa la Borsa del gas olandese, il Ttf, tutto sommato andava bene a tutti, altri dicono che bisogna abbandonarla subito perché è solo speculativa. Cosa ne pensa?

R. È chiaro che bisogna trovare il modo di limitare almeno gli eccessi della speculazione in questo come in altri settori fondamentali per il nostro presente e il nostro futuro. È un banco di prova importante per l’Europa.

La Germania ha messo sul piatto 200 miliardi per sostenere le famiglie e le imprese tedesche. Poi ha aperto a una strategia comune europea in vista di una possibile estensione del Recovery Fund. È sufficiente o sarebbe più efficace ricorrere a uno strumento specifico come quello messo a punto per fronteggiare la pandemia?

R. Anche l’Italia ha già un messo in campo circa 70 miliardi di euro per allentare la morsa della crisi energetica. Non è però pensabile che l’Europa non abbia su questi temi una politica comune, coerente con l’indicazione del Next Generation EU: coesione, transizione verde e digitale. Del resto è proprio dalle politiche sull’energia che nacque un embrione d’Europa con la CECA – Comunità europea del carbone e dell’acciaio.

È d’accordo con un Price Cap europeo, su cui Bruxelles sembra aver cominciato a ragionare? 

R. Sì, ma deve essere fatto da tutta l’Europa per avere un adeguato impatto.

Lei è probabilmente uno dei massimi esperti italiani di risparmio energetico, sostenibilità e fonti rinnovabili. L’Adriatico italiano è seduto su un giacimento enorme di gas che potrebbe garantire scorte per quasi 300 miliardi di metri cubi. Non è perlomeno irresponsabile lasciare un simile tesoro sott’acqua o farlo sfruttare ad alcuni Paesi delle coste opposte? Quanto incide davvero a suo giudizio l’ambientalismo soltanto oppositivo?

R. Per la verità le nostre risorse accertate di gas sono molto più limitate. Secondo i documenti ufficiali, penso ad esempio al report di Cassa Depositi e Prestiti, oscillano tra i 70 e i 90 miliardi di metri cubi, poco più del nostro consumo di un anno che è di 75 miliardi di metri cubi. Nel passato le estrazioni di metano sono diminuite non tanto per i divieti quanto per i costi. Impegnandoci molto potremmo passare nel giro di qualche anno dagli attuali 3.3 miliardi di metri cubi di gas estratto a 6. Tutto può essere utile ma certo non è risolutivo.

Al di là della crisi energetica, quale direzione devono prendere le future politiche green? Il nucleare “pulito” sarà un’opzione? Quali sono gli strumenti migliori oggi disponibili per contrastare la crisi climatica in atto?

R. La spinta a favore del nucleare è soprattutto ideologica. Nel 2021 nel mondo la potenza nucleare attiva è diminuita di 3 GW e quella rinnovabile è aumentata di 195 GW. E in Occidente la situazione è peggiore. Il nucleare è entrato in crisi soprattutto per i costi. È sensato che chi ha, in questa drammatica emergenza, la possibilità di continuare per qualche anno in sicurezza la vita di vecchie centrali nucleari, lo faccia. È quello che l’Italia fa riaprendo pro tempore all’uso del carbone. E questo vale in particolare per la Francia che è il paese più nucleare d’Europa ed ha anche la Force de frappeatomica. Ma riaprire ad un piano nucleare civile sarebbe un grave errore anche dal punto di vista economico e aumenterebbe il costo dell’energia.

Il nucleare di quarta generazione poi non esiste e saranno almeno quarant’anni che si parla della possibilità di rendere utilizzabile la fusione nei venti anni successivi. Ovviamente la ricerca scientifica va portata avanti, potrebbe portare magari risultati anche in altri settori. Anche il solare fotovoltaico, i cui principi scientifici erano noti da tempo, è diventato realtà per i voli nello spazio che richiedevano fonti di energia disponibili ed inesauribili. Ora però è fondamentale concentrarsi sulle priorità. Vale per le politiche e le scelte necessarie per adattarsi al clima che muta e al moltiplicarsi di fenomeni meteorologici estremi anche nel nostro Paese. Vale per la forte spinta necessaria sull’efficienza energetica e sulle innovazioni funzionali allo sviluppo delle rinnovabili. Anche perché, come dice il Manifesto di Assisi, promosso dalla Fondazione Symbola e dal Sacro Convento, «affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro».

L’Italia ha molto da dire per la sua propensione ad incrociare la sostenibilità con l’innovazione, la qualità, la bellezza. Tendenza che attraversa anche i settori più tradizionali e hard. Penso all’Enel che oggi, avendo cambiato strategia, è diventato il più grande operatore di rinnovabili al mondo. E questo la rende più forte, anche se per ritardi burocratici e opposizioni pretestuose opera soprattutto all’estero. O a tante nostre imprese, ad esempio due acciaierie come Feralpi e Arvedi, che sono anche associate a Symbola. Già prima della attuale crisi Feralpi ha investito 120 milioni di euro nel fotovoltaico per pagare di meno l’energia e rendersi più indipendente. E Arvedi, oggi la più grande acciaieria italiana, è la prima per dimensioni al mondo ad azzerare le emissioni di CO2 con innovazione e buone politiche. In altri Paesi avrebbero valorizzato molto di più queste scelte. Ma è proprio da questa “Italia che fa l’Italia” che bisogna ripartire.