Inchieste

Riforma pagamenti PA entro marzo o addio fondi PNRR

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di Veronica Schiavone

Forte con i deboli e debole con i forti. Nel rispetto dei tempi di pagamento, la Pubblica Amministrazione italiana fa due pesi e due misure. Liquida le fatture di importo maggiore entro i termini di legge, mantenendo così il tempo medio di pagamento ponderato entro i limiti previsti dalle norme europee (30 giorni che possono salire a 60 solo in rari casi, per esempio nella sanità) ma ritarda il saldo di quelle con importi minori, penalizzando le piccole e medie imprese. Una prassi bacchettata di recente dalla Corte dei Conti e che il PNRR dovrà definitivamente scongiurare.

La riduzione dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni è infatti una delle misure (M1C1-72) cosiddette “abilitanti” (ossia necessarie a garantire l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza nel suo complesso) che la Commissione Europea chiede all’Italia entro marzo 2023.

In assenza di interventi, il nostro Paese rischierebbe di non incassare la quarta rata di finanziamenti europei prevista al 30 giugno prossimo e pari a 16 miliardi.

Cosa dovrà fare l’Italia entro quella data? Tagliare ulteriormente i tempi di pagamento che, grazie allo strumento delle anticipazioni di liquidità di cui possono godere gli enti pubblici in difficoltà con le fatture, sono scesi nell’ultimo triennio dai 49 giorni del 2019 ai 40 giorni del 2021 (dati Mef). Un trend in continua discesa, ancora però lontano dai 30 giorni chiesti dall’Ue affinché la procedura d’infrazione intrapresa dalla Commissione europea contro l’Italia per la violazione della direttiva 2011/7/UE possa concludersi positivamente.

Gli ultimi dati diffusi dal Mef e relativi al 2021 certificano un progressivo miglioramento della quota di fatture pagate nei termini che è passata, per il totale delle PA, dal 69,5% del 2019 al 76,7% del 2021. Tuttavia, come detto, e come evidenziato dalla Corte dei Conti, il rischio che questi dati, apparentemente positivi, possano rivelarsi solo formali è molto alto.

Il problema risiede nel fatto che la Piattaforma crediti commerciali del Mef (il sistema, nato nel 2012 come strumento attraverso il quale le imprese, previa istanza presentata alle rispettive PA debitrici, possono ottenere la certificazione dei crediti commerciali vantati per poi cederli alle banche o compensarli, ad esempio, con le somme dovute all’erario), a cui dal 2014 è affidato il compito di monitorare il pagamento delle fatture e lo stato dei debiti della PA, elabora indicatori di tempestività e di ritardo dei pagamenti con riferimento alla media ponderata, favorendo così le prassi “distorte” emerse negli ultimi anni che hanno portato al pagamento tempestivo di fatture di importo elevato a discapito di quelle di importo meno elevato.

Il PNRR chiede invece un cambio di prospettiva e cioè che vengano elaborati indicatori di tempestività e di ritardo dei pagamenti anche con riferimento alla media semplice. Laddove i valori elaborati con la media ponderata risultino nel 2023 inferiori di oltre 20 giorni rispetto a quelli elaborati con la media semplice (nel 2024 il termine scende a 15 giorni), per monitorare il conseguimento del target verrà utilizzata la media semplice. Un’evoluzione che dovrebbe portare a scovare queste pratiche distorsive, estremamente penalizzanti per le piccole e medie imprese.

Con il decreto legge 152/2021 (cosiddetto Decreto PNRR 1) il governo Draghi si era da tempo portato avanti, prevedendo una norma (art.9 comma 2) che va proprio nella direzione di rafforzare gli strumenti di monitoraggio. Non solo la Piattaforma crediti commerciali ma anche le ispezioni della Ragioneria dello Stato. Le PMI si augurano che il governo Meloni prosegua nella stessa direzione.