Inchieste

Vessazioni fiscali e storie di ordinari paradossi

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di Paola Stringa

Cartelle pendenti, miliardi da incassare e controversie da mediare. La fotografia scattata dal Mef nel 2022 sulle controversie tributarie in Italia restituisce un’immagine più a ombre che luci. Il rapporto tra fisco e imprese, nel nostro Paese, continua ad essere complesso e rallentato, malgrado la digitalizzazione e nonostante la sospensione delle attività di controllo e riscossione nel periodo della pandemia avesse fatto diminuire i numeri dei ricorsi. A fine 2021 le liti tributarie pendenti si attestavano su 272.677 casi, per un valore complessivo di circa 37,5 miliardi di euro, di cui il 61% in giacenza da meno di 2 anni, il 32% da oltre 2 anni e il 6,9% da più di 5 anni.

Non solo. Anche secondo l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (Ocp dell’Università Cattolica) che elabora i dati del MEF, sebbene il tempo medio delle controversie in primo grado, ossia nelle Commissioni tributarie provinciali, sia effettivamente diminuito, ci vogliono pur sempre troppi giorni perché le controversie si risolvano, rispetto agli altri Paesi Ue, ossia oltre 600. Mentre ce ne vogliono addirittura 900 quando la competenza passa alle Commissioni tributarie regionali, dove il tempo medio è addirittura aumentato del 53%. Circa la metà del contenzioso non proviene dall’Agenzia delle Entrate, bensì dagli Enti territoriali. Infine il valore delle controversie sotto ai 50mila è quasi l’80% del totale.

«Troppe liti di poco conto che costano lavoro agli enti preposti all’accertamento e alla riscossione  e spesso senza successo e senza valutazione effettiva delle loro performance – spiega al Settimanale Fabio Venegoni, partner commercialista dello Studio Associato Trotter, che ha una storica esperienza nella gestione delle controversie di natura tributaria – I tempi di accertamento con il Covid si sono sempre più dilatati e quelli gestiti da remoto hanno reso tutto ancora più lento e farraginoso. L’azione dovrebbe essere fondata su motivi validi, concreti e che portino a risultati ragionevoli. Questo impegno dovrebbe essere nella nuova agenda del Governo per far evitare di coltivare vertenze inutili e onerose».

Venegoni fa riferimento a casistiche vessatorie ricorrenti a carico di imprese che spesso non hanno strumenti per ottemperare alle richieste di accertamento, che talvolta non sono appropriate o non rientrano tra i compiti previsti dalle normative di riferimento per le filiere industriali.

«Un caso su tutti è quello dell’impresa che riceve un accertamento sul mancato pagamento dell’Iva da parte di un subfornitore della sua catena di valore. È un paradosso. Una volta che l’impresa ha richiesto i Durc, le copie dei versamenti fiscali e contributivi ai diretti fornitori, non si può chiederle di effettuare anche una vigilanza su tutta la filiera, perché non rientra tra le sue prerogative».

Poi ci sono accertamenti ‘stagionali’, ossia a ridosso di una determinata agevolazione o incentivo, previsto da una norma in genere poco chiara o con un perimetro troppo largo, idonee a produrre facile contenzioso.

«Un esempio che ha prodotto diversi casi di accertamento, è quello sul credito d’imposta sulle attività di R&S. Diverse imprese lo hanno richiesto sulla base della legislazione vigente, introdotta dal legislatore con eccessiva disinvoltura salvo poi correggersi a fronte del rischio di subire una procedura di infrazione da parte della Ue, per la non conformità con le disposizioni del cosiddetto Manuale Frascati (documento che stabilisce la metodologia per raccogliere dati R&D nei Paesi Ocse, ndr). Quindi le imprese – specifica Venegoni – in assenza di regole precise sulle caratteristiche e sui parametri dei progetti di ricerca in oggetto, si sono trovate a pianificare la restituzione di importi anche significativi, per fortuna senza interessi e sanzioni, a seguito di un provvedimento correttivo. Il Mise, incaricato di esprimere il giudizio sulla conformità delle ricerche condotte dalle imprese si è trovato sommerso da migliaia di dossier; tant’è che da tempo si parla di una delega specifica ai dipartimenti universitari per la conformità dei progetti di ricerca ai cinque requisiti fondamentali del Manuale Frascati. Nel frattempo, il ministero dell’Economia ha invitato le agenzie del territorio ad avviare indagini e istruttorie, finalizzate ad avviare attività di accertamento».

«Un’impresa che abbiamo seguito – continua Venegoni – ha acquisito un parere da un Dipartimento di ricerca universitario, ma ha trovato una ferma opposizione da parte dell’Agenzia delle Entrate competente a condividere i risultati valutativi. Quindi, il Mise non può validare le ricerche, per mancanza di tempo e risorse, l’impresa raccoglie il parere di un Dipartimento Universitario, l’Agenzia delle Entrate persevera nella sua azione restrittiva, ritenendo indispensabile il parere del Mise, pur sapendo che il Mise non sarà in grado di produrlo».