La Settimana Internazionale

Così il triangolo per l’Ucraina rilancia l’unità europea (e il raggio dei missili)

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di Mara Canozai

Visti i ricordi che evoca la parola Weimer, è meglio chiamarlo “il vertice di Berlino”. L’incontro di metà marzo che ha riunito nella capitale tedesca i leader di Francia, Germania e Polonia – i tre Paesi stretti da un’alleanza chiamata appunto Triangolo di Weimar – ha cercato di riportare un po’ di serenità, e soprattutto unità, in una Europa attraversata da malcelate tensioni politiche sulla guerra in Ucraina. Il presidente Emmanuel Macron, il cancelliere Olaf Scholz e il primo ministro Donald Tusk al termine dell’incontro hanno annunciato che «l’Europa è incondizionatamente al fianco dell’Ucraina, per tutto il tempo necessario». Anche se – come ha fatto aggiungere Scholz – «è chiaro anche che non siamo in guerra con la Russia, né favoriremo un’escalation».

Il nodo delle armi a lungo raggio per Kiev

Precisazioni attese dopo le frizioni degli ultimi giorni, in particolare tra Scholz e Macron. I tre leader si son detti d’accordo sul fatto che «Putin non deve vincere». E hanno invitato l’Europa a mettere da parte divisioni e interessi (elettorali e non solo) per offrire il maggior sostegno possibile al Paese aggredito dai russi.

L’incontro di Berlino (con un prolungamento a Varsavia) è arrivato all’indomani delle parole del capo dell’Eliseo, che ha ribadito di non escludere in futuro l’invio di truppe occidentali al fianco di Kiev. Ipotesi che per il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, dimostra come Parigi è già stata «trascinata nel conflitto» e con queste affermazioni è pronta ad aumentare il suo coinvolgimento. Ma Francia, Germania e Polonia «non prenderanno mai l’iniziativa di un’escalation», ha rassicurato Macron dopo che il collega tedesco aveva illustrato le «priorità» concordate dai tre Paesi, tra cui «una nuova coalizione» per le armi a lungo raggio.

Il vertice è servito per dissipare le tensioni tra Parigi e Berlino, sfociate in aperte divergenze, su come dare sostegno all’Ucraina. Mentre i partner europei sono frustrati dal rifiuto di Scholz di fornire i suoi missili Taurus a lungo raggio a Kiev, Berlino non ha nascosto l’irritazione per le ultime uscite di Macron, a cominciare ovviamente dall’ipotesi di inviare truppe Nato. Scholz aveva già ha ribadito in Parlamento che la partecipazione dei soldati tedeschi al conflitto è «un limite che non vuole oltrepassare».

Rilanciare la difesa comune

Una posizione condivisa tra gli altri anche dall’Italia, con il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha escluso la possibilità di mandare soldati all’Est. Perché «entrare e fare guerra alla Russia – ha avvertito – significa rischiare la Terza guerra mondiale». Una contraddizione necessaria: stiamo con Kiev ma non contro Mosca. Che però potrebbe non bastare più se la Russia invadesse tutta l’Ucraina e l’occupasse: allora ci vorrebbe una reazione dell’Europa. Per questo, ha detto Tajani, «è urgente coordinare, rafforzare, unire l’Europa in una difesa comune».

La pace Francia-Germania

È già una notizia un patto Germania-Francia. Perché se Macron punta la sua campagna elettorale europea sul «pericolo Putin», Scholz sembra volersi presentare come «cancelliere della pace». Eppure a Berlino una svolta, piccola o grande che sia, c’è stata: i tre leader hanno detto che saranno comprate armi e munizioni per Kiev, «anche con i profitti inattesi dei beni russi congelati in Europa», visto che le sue dotazioni si stanno drammaticamente esaurendo. E che saranno mandati in Ucraina missili a lungo raggio.

Scholz è sempre stato fortemente reticente a inviare i Taurus, capaci di colpire il territorio russo ben più in profondità di quelli forniti finora dagli alleati, diventando quindi potenziali detonatori per un allargamento del conflitto. Non ha sciolto i dubbi neanche stavolta, almeno non del tutto: la Germania potrebbe mandare alcuni missili a lungo raggio, ma solo nell’ambito di una coalizione di Paesi che faccia altrettanto.

L’urgenza di sbloccare gli aiuti

«Da qui inviamo questo nuovo segnale di sostegno a Kiev», ha sottolineato Scholz. E pur senza nominarli, il messaggio è inviato oltre Atlantico, agli Stati Uniti, anche in chiave di una possibile vittoria alle presidenziali di novembre di Donald Trump, il quale ha già preannunciato un disimpegno americano. «Ma stiamo anche inviando un chiaro segnale a Mosca – ha aggiunto il cancelliere tedesco – perché il presidente russo Putin deve sapere che il nostro sostegno all’Ucraina non verrà mai meno, siamo incrollabili e uniti al suo fianco».

Per il presidente Volodimir Zelensky, però, le parole devono tradursi rapidamente in aiuti militari: le gravi carenze di munizioni hanno costretto gli ucraini a cedere terreno all’avanzata russa. Il pacchetto di aiuti statunitensi da 60 miliardi di dollari resta ancora bloccato al Congresso e anche il presidente Joe Biden ha riconosciuto che 300 milioni di dollari di sostegno temporaneo annunciato martedì «non sono sufficienti».

Con queste premesse, gli asset russi potrebbero contribuire a dare respiro ai fondi per armare gli ucraini. Intanto, la Commissione Ue ha stanziato i 500 milioni di euro previsti dalla legge a sostegno della produzione di munizioni che consentirà all’industria europea della difesa di aumentare la propria capacità di produzione fino a 2 milioni di proiettili all’anno entro fine 2025. E per bloccare la corsa alle armi della Russia, il G7 sotto presidenza italiana ha messo in guardia Teheran dal trasferire missili balistici a Mosca: in caso contrario, «siamo pronti a rispondere rapidamente e in modo coordinato, anche con nuove e significative misure», hanno minacciato i Sette.

Perché Macron sfida Putin?

C’è chi ha cercato di interpretare la giravolta di Macron, l’uomo che più di tutti all’inizio della guerra si era speso per «non umiliare» Putin, cercando la sua sconfitta; l’uomo che a lungo ha cercato di trattare con lo zar russo. Perché ha cambiato idea?

Sicuramente ha voluto rafforzare la sua leadership “dando una sveglia” a un’Europa distratta dalle incombenti elezioni, divisa dalle resistenze di Ungheria e Slovacchia e dalla timidezza di altri Paesi, a cominciare proprio dalla Germania («c’è chi pensava di aiutare Kiev inviando sacchi a pelo ed elmetti»). Per un anno il presidente francese ha cercato invano un canale; ora si è reso conto che Putin non lo vuole, se non alle sue condizioni. E di fronte a troppa arrendevolezza, c’è il rischio concreto che la Russia finisca per vincere la guerra. Eventualità inaccettabile per l’Europa, per l’Occidente, per il mondo democratico.

C’è anche un problema interno. Macron esalta il “pericolo Putin” per rimarcare le differenze con i partiti filorussi che in Francia sono molto attivi (vedi Marine Le Pen). Oltretutto, da mesi, oltralpe come in Italia, la Russia è già al lavoro con la guerra ibrida: usa i suoi hacker per danneggiare i sistemi informatici ed è pronta a influenzare le prossime elezioni europee. Dunque, è inutile minimizzare: meglio tenersi pronti al peggio.

Ma Putin davvero rischia di vincere?

Una domanda corrente è se davvero la Russia rischia di vincere il conflitto. In un’intervista al Corriere della Sera, il capo di Stato maggiore della difesa italiano lo esclude. «Quello che Putin voleva ottenere, cioè una vittoria in tre giorni, arrivare a Kiev e sovvertire la governance ucraina – afferma Giuseppe Cavo Dragone – non è accaduto. Sono passati due anni e tutti i suoi obiettivi strategici sono falliti. Addirittura, Finlandia e Svezia sono entrate nell’Alleanza atlantica che ora può contare su 32 Paesi. È vero, adesso è in corso un contro-contrattacco di Mosca, ma fa parte della dinamica degli eventi».

L’importante, aggiunge Cavo Dragone, è che non si affievolisca il sostegno internazionale. Quanto ai discussi missili a lungo raggio «non c’è dubbio che sarebbero importanti, ma andrebbero utilizzati con criterio. Occorre evitare il rischio di un’escalation e il coinvolgimento indiscriminato della popolazione». È quindi necessario potenziare gli investimenti non solo sulle armi tradizionali. Bisogna «essere coesi e lavorare sul multidominio, attrezzarci cioè per essere pronti su un ventaglio di arene: lo spazio, il cyber, la disinformazione. Sono queste le nuove frontiere».

I segni di due anni di guerra

Sul campo la situazione è difficile per Kiev: l’attacco a Odessa ne è l’ultima dimostrazione. Ma l’esercito comunque sta cercando di adattarsi, e si difende diversamente: non lungo il fronte di terra, ove possibile, ma nel cielo, nel mare e contro le raffinerie russe. Dimostrando ancora una volta una flessibilità strategica unica. Negli ultimi giorni, comunque, l’avanzata russa sarebbe stata fermata: il presidente Zelensky ha spiegato in tv che la situazione al fronte è «molto migliorata» e che le forze di difesa stanno costruendo «oltre mille chilometri» di fortificazioni.

Intanto, a due anni dall’inizio dell’invasione russa, nella popolazione la speranza rischia di lasciare il posto allo scoramento: pesano i risultati deludenti della controffensiva estiva, le vittorie ottenute dai russi quest’inverno, la crescente freddezza degli alleati sugli aiuti. E ancora non si vede una fine: se un anno fa più di un quarto degli ucraini credeva che la guerra sarebbe finita entro un anno e il 66% rifiutava qualsiasi negoziato con la Russia, oggi quasi la metà teme di avere davanti ancora più di un anno di combattimenti e la percentuale di chi pensa che sia ora di trattare è salita al 42%.

Dalla Russia aperture e minacce

E Putin, in tutto questo, che dice? Falco e colomba, dispensa minacce e aperture. Si dice «pronto per i negoziati» tra Russia e Ucraina ma solo «sulla base delle realtà che si sono sviluppate, come si dice in questi casi, sul terreno, e non su desideri derivanti dall’uso di psicofarmaci». In un’intervista a Ria Novosti e Rossiya 1, il presidente della Federazione russa ha affermato che «possibili negoziati non sono una pausa per il riarmo di Kiev, ma una conversazione seria con garanzie di sicurezza per Mosca».

La Russia, avverte poi il leader del Cremlino, è pronta a usare armi nucleari se dovesse esserci una minaccia per l’esistenza dello Stato russo, anche se non la auspica. Putin assicura che «da un punto di vista tecnico-militare, siamo, naturalmente, pronti». «Le armi esistono per essere usate». E attacca l’allargamento della Nato, che ha appena accolto Finlandia e Svezia. «È un passo assolutamente senza senso» per i due Paesi «dal punto di vista della tutela dei rispettivi interessi nazionali. Non avevamo soldati» al confine con la Finlandia «e ora ci saranno. Non c’erano sistemi» di armi «di distruzione lì, ora appariranno».