La Settimana Internazionale

Guerra in Ucraina oscurata dalla crisi di Gaza

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di Ugo Poletti, Direttore di The Odessa Journal

La nuova crisi di Gaza, creata dallo spettacolare e micidiale attacco dei guerriglieri di Hamas contro centri abitati e caserme israeliane ha scioccato l’opinione pubblica mondiale, e la conseguente reazione militare israeliana ha rubato i riflettori dalla guerra in Ucraina.

Le domande ricorrenti nei dibattiti pubblici sono quanto la nuova crisi penalizzerà il supporto occidentale all’Ucraina e se ci sarà una estensione del conflitto su scala mondiale. L’opinione pubblica dei Paesi europei ha fatto molta fatica ad elaborare il trauma di una guerra così vicina, tra popolazioni bianche e cristiane. L’abitudine a vedere le guerre come delle crisi esotiche e lontane, prevalentemente in Africa o in Medio Oriente, impedisce di concepire un conflitto di alta intensità così vicino. Nonostante questo i governi membri della Nato hanno accettato di appoggiare indirettamente l’Ucraina, per questioni di difesa nazionale e di diritto internazionale. A questi si sono uniti molti altri paesi come Canada, Giappone, Australia e Corea del Sud. Quindi, opinioni pubbliche non abituate a parlare di guerra e di sicurezza internazionale hanno visto i loro governi prendersi una responsabilità diretta in un conflitto.

Adesso però si aggiunge un secondo conflitto, che, anche se non è una sorpresa vista la crisi permanente in Israele da decadi, aumenta il livello di preoccupazione e il senso di pericolo. I governi faranno sempre più fatica a motivare il sostegno alle parti nei due conflitti, di fronte a sentimenti crescenti di paura e di disaffezione verso le risorse nazionali che vanno all’estero.

Da un punto di vista razionale, la guerra in Ucraina è anche una guerra europea, perché tocca gli interessi dei Paesi europei dal punto di vista della sicurezza militare a Est, dell’indipendenza energetica e della sicurezza alimentare, oltre che dalla presenza di milioni di profughi ucraini, i quali da temporanei rischiano di diventare permanenti se il conflitto non terminerà a breve. L’operazione militare di Gaza non è geograficamente una crisi europea, ma la presenza diffusa di immigrati arabi con forte sostegno di partiti politici, rischia di portare disordini antisemiti e uccisioni in tutta l’Europa. Anche per gli Usa il peggiore incubo è che simpatizzanti palestinesi, o anche popolazioni con sentimenti antiamericani, inizino a uccidere ebrei e cittadini americani in tutto il mondo.

Quindi, la politica estera americana si trova oggi ad affrontare malvolentieri ben due emergenze, perché, dopo l’umiliante ritiro dell’Afghanistan, sia la guerra in Ucraina sia la crisi di Gaza sono due patate bollenti che gli apparati militari e di intelligence avrebbero voluto evitare. Infatti, entrambi questi scacchieri distraggono gli Usa dall’obiettivo principale: il contenimento della Cina e in particolare la difesa di Taiwan. Ma, se da un lato gli apparati statunitensi si trovano obtorto collo a occuparsi di Medio Oriente e del Mar Nero, dall’altro lato gli Usa non possono mostrare debolezza in queste due partite, per non incoraggiare la Cina ad effettuare la temuta invasione di Taiwan.

Come uscire da questa situazione di alta tensione? Pare ovvio che una conclusione della guerra in Ucraina in tempi brevi, negoziando direttamente con la Russia, sia la soluzione ideale per la leadership americana. In particolare, qualcuno auspica la riapertura di un dialogo con Mosca, per non spingerla nelle braccia di Pechino. I Russi sono formalmente alleati dei Cinesi, ma storicamente sono sempre stati loro rivali.

Se un domani la diplomazia americana, seguita da tutti i Paesi Nato, fissasse un termine ultimo per l’invio di aiuti militari, l’Ucraina sarebbe forzata ad accettare un negoziato con Mosca. Questa prospettiva sarebbe un trauma per Kiev, perché porterebbe probabilmente all’amputazione dei territori ancora occupati dai Russi e la perdita totale del Mare d’Azov. Inoltre, nessun leader politico e militare russo sarebbe più perseguibile per crimini di guerra. Solo la resa incondizionata permette la creazione di tribunali per crimini contro l’umanità.

La leadership ucraina è molto spaventata da questo scenario. La perdita di visibilità sui media nuoce alla strategia comunicativa del presidente Zelensky, che è stata finora molto efficace nel convincere a mandare aiuti militari e finanziari. Purtroppo, oggi è più difficile convincere l’occidente a credere nella vittoria finale ucraina. Quindi, Kiev deve cambiare la sua strategia di comunicazione.

Occorre identificare nuovi temi che vadano incontro agli interessi dell’America e dell’Europa. Infatti, il messaggio ripetuto in continuazione del “dovete mandarci armi, perché stiamo combattendo anche per voi” comincia a mostrare segni di stanchezza. Bisogna trovare un nuovo tema, più convincente. L’opinione pubblica europea non si lascia più sedurre dall’immagine dei cosacchi, che combattono eroicamente con il sorriso. Né le fosse comuni di Bucha e Irpin possono essere un tema duraturo.

Anche la richiesta insistente di entrare nella Nato, “dovete farci entrare perché proteggendo noi, proteggete anche voi stessi,” non ha ancora conquistato un consenso unanime tra i paesi membri. La richiesta legittima dell’Ucraina di maggiore protezione non sembra una ragione sufficiente. Kiev deve elaborare una proposta più allettante per lo schema difensivo Nato. Per esempio, offrire di svolgere il ruolo di “guardiano” del Mar Nero e scudo orientale per Romania, Moldavia, Ungheria, Slovacchia e fianco sud della Polonia. Questo sarebbe conveniente per la strategia americana e ridurrebbe l’invadenza della Turchia, che finora ha adempiuto a quel compito. Una proposta che alleggerirebbe l’impegno militare Nato nell’area e terrebbe l’Ucraina più sotto controllo.

Infine, oggi il Paese ex-sovietico è il luogo ideale per produzioni militari e partnership tecnologiche europee. Nessun paese vanta attualmente una esperienza di combattimento e disponibilità di dati sull’uso degli armamenti come l’Ucraina. A questo si aggiunge la convenienza economica di tasse e salari più bassi, e la tradizione nell’industria aerospaziale dai tempi dell’Urss. In sintesi, ci vuole un cambio di marcia per Kiev: meno richieste tassative per ragioni politiche e morali, e più offerte di opportunità nel campo militare ed economico, per contribuire al nuovo assetto del mondo nel dopoguerra.