La Settimana Internazionale

In Siria una catastrofe che aggrava cento crisi

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di Sam Mouazin

Erano le quattro del mattino quando le case hanno iniziato a crollare sulle teste dei loro abitanti addormentati la notte del 6 febbraio, sia in Turchia sia in Siria. Mio padre, che vive nell’antica cittadella costiera siriana Jableh – piena di costruzioni abusive – si è trattenuto in casa aspettando il momento buono per fuggire all’aperto, con la sua auto, lontano dai centri abitati, per portare in salvo la sua famiglia. Un’attesa alla fine durata ore, intrappolati in quell’auto in balia delle scosse di terremoto e della tempesta polare che stava investendo la zona nello stesso momento.

Le fonti annunciano almeno cinque milioni di sfollati dopo la catastrofe sismica – secondo gli esperti la peggiore degli ultimi 100 anni – che quella notte ha sconvolto vaste aree tra i due Paesi confinanti. Senza pensarci su, molti Paesi hanno deciso immediatamente di rompere i vari embarghi “selvaggi” imposti alla Siria, dando il via a missioni di soccorso per aiutare una popolazione già stremata e lasciata al proprio destino da oltre 10 anni, ora alle prese con un disastro naturale che ha causato danni a strutture e servizi la cui entità si aggrava ogni giorno che passa.

Le abitazioni crollate dopo le tremende scosse erano già diventate da tempo tombe inutili – senza luce, senza acqua e senza gas – da quando è stata tolta alla Siria la parte nord-orientale del Paese, ricca di risorse e petrolio, prima dall’Isis, poi dalle forze armate kurde (Sdf), affiancate da basi militari americane presenti ovunque si trovi un pozzo di petrolio nella zona tra Siria e Iraq.

Tanti i Paesi che non se la sono sentita di rispettare le rigide regole dell’embargo davanti alla disgrazia umana. Alcuni li chiamavano “Stati canaglia”. Tra essi l’Iraq, a sua volta diventato povero. Hanno organizzato i loro ponti aerei per atterrare nei vari aeroporti siriani – soprattutto quello di Damasco, tornato operativo dopo i raid israeliani poco più di un mese fa – per dare il via alle operazioni di salvataggio, con supporto medico, logistico ed economico, direttamente sul posto tramite l’organizzazione della Croce Rossa internazionale e quella della Mezzaluna rossa siriana.

Probabilmente sono stati così tanti da spingere l’Occidente a valutare l’opportunità di ammorbidire l’embargo e dare il via al primo invio di aiuti, guidato dall’Italia, l’11 febbraio, peraltro solo dopo il rilascio di una licenza da parte dell’amministrazione americana che autorizza la sospensione delle restrizioni alla Siria per 180 giorni. Stati Uniti e Unione europea escludono comunque di cooperare con il governo siriano e garantiranno aiuti diretti solo alle regioni nordoccidentali non controllate da Damasco, come quella di Idlib che è in gran parte nelle mani di formazioni jihadiste e qaediste schierate contro le autorità centrali.

Il terremoto è solo l’ultima di una serie di crisi che questo Paese vive simultaneamente. Ed è già un miracolo che esistano ancora persone che resistono su quel territorio martoriato dalla guerra, dal colera, dalle sanzioni introdotte per la prima volta nel 2011 sia dagli Usa sia dall’Ue (quest’ultima le ha ulteriormente prorogate fino a giugno 2023) contro il regime di Assad. La Siria patisce ad esempio una drammatica assenza di gas e carburante, indispensabili per far funzionare la rete di trasporti, linfa vitale in ogni paese (oltretutto con conseguenze drammatiche sull’efficienza dei soccorsi per il terremoto).

Il problema più grave resta la politicizzazione della crisi siriana. Fattore che ha reso sempre più impossibile comunicare all’estero le reali condizioni di vita del popolo, vittima di una strategia rodata dei Paesi occidentali nei confronti delle nazioni “poco collaborative”, che punta a metterne in ginocchio l’economia per spingere gli abitanti a rivoltarsi contro il governo.

È difficile non inglobare l’emergenza umanitaria siriana nel conflitto e tutte le sue implicazioni. Nonostante regole giuridiche riconosciute a tutela del diritto umanitario, la comunità internazionale fatica ancora a concepire l’importanza di questo diritto sul lato pratico, e continua a esercitare pressioni sulla popolazione.

È intervenuto sul tema anche il vertice dell’Icrcp (Comitato internazionale della Croce Rossa):

È molto difficile descrivere i livelli di sofferenza qui ad Aleppo… Fa molto freddo, non c’è riscaldamento. Bambini che hanno perso i genitori, e genitori che hanno perso i figli. Faremo tutto il possibile per dar loro supporto, lavorando con Croce Rossa e la Mezzaluna rossa siriana. Ma la cosa più importante ora è avere accesso a tutte le aree colpite a nord-est della Siria. L’assistenza umanitaria non deve essere ostacolata per interessi politici.

Alcune aree del nord-ovest colpite sono da anni fuori dal controllo del governo siriano. Sono quelle aree dove vivono i separatisti siriani sostenuti militarmente ed economicamente dalla Turchia. La loro narrativa, sottolineata dai media Occidentali, accusa il governo siriano di bloccare gli aiuti. Tesi che il regime siriano rimanda al mittente, sottolineando che è stata l’Onu a rifiutare di passare il convoglio degli aiuti, a causa del blocco da parte dei ribelli.

Molte delle aree colpite sono ancora irraggiungibili.

Afferma il coordinatore Onu in Siria, Mostafa Balmileh.

La corsa contro il tempo per salvare ancora delle vite umane è condizionata da calcoli politici. Pesano gli effetti decennali della politica d’embargo dettata dall’Occidente contro il regime di Assad. Il crollo vertiginoso della lira siriana, moneta con cui tra l’altro il governo paga il suo esercito, non promette nulla di buono.

La cronaca ci ha restituito la notizia di vite umane estratte vive dopo una settimana sotto le macerie; ma il tempo dei miracoli sta finendo. E la società civile siriana deve aggrapparsi alle sue sole forze. Non è preparata agli eventi sismici, ma per fortuna ha sviluppato degli anticorpi per fronteggiare situazioni critiche: con i mezzi che ha a disposizione si compatta, attraverso i social media e in collaborazione con le organizzazioni locali e internazionali, per badare a se stessa. Finché può.

L’urgenza non aspetta.

Occorre raddoppiare gli aiuti, parlo di prime necessità: soprattutto il fabbisogno alimentare e medico sanitario. Ed è importante trovare soluzioni sostenibili nel settore idrico.

Avverte Adnan Hazam, portavoce del Comitato Internazionale della Croce rossa in Siria.

Abbiamo sempre invitato la comunità internazionale a prestare più attenzione alla crisi siriana, e ora a offrire più aiuti, non solo nei luoghi del terremoto ma nell’intero Paese, reduce da oltre 12 anni di conflitti che hanno causato gravissime sofferenze.