La Settimana Internazionale

La nuova delocalizzazione tedesca spaventa fornitori e terzisti italiani

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di Federico Bosco

Dopo aver superato la pandemia e le prime conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina, per la Germania è arrivato il momento di fare i conti con le vulnerabilità del suo modello economico-industriale.

Uno studio della Federazione delle imprese tedesche (BDI) ha rilevato che un numero crescente di aziende sta spostando dalla Germania all’estero posti di lavoro e impianti produzione, alimentando le preoccupazioni per il futuro dell’economia tedesca, europea, e in particolare italiana visti gli intensi legami tra le due principali economie manifatture dell’Unione europea.

Mentre il 16 per cento delle medie imprese intervistate dalla BDI ha già avviato misure per delocalizzare parti della propria attività, lo studio ha rilevato che un altro 30 per cento sta valutando di fare lo stesso. Gli imprenditori sono preoccupati per i prezzi dell’energia, che restano troppo alti in un paese abituato a prezzi molto bassi, e dalle difficoltà e dai costi nel reperire materie prime o altre risorse.

A rendere più pressanti le preoccupazioni della BDI c’è anche l’Inflation Reduction Act (IRA) statunitense, il piano di sussidi da 500 miliardi di dollari che offre generosi incentivi alle società che apriranno industrie “verdi” (un concetto in questo caso aperto a molte interpretazioni) negli Stati Uniti.

Per fare un esempio, dopo l’IRA e l’aumento dei prezzi energetici la Tesla ha ridimensionato il piano per far diventare la gigafactory vicino a Berlino la sua più grande fabbrica di batterie. Il colosso statunitense delle auto elettriche concentrerà gli investimenti e la produzione in Patria, limitando le potenzialità di un polo industriale che doveva fare da volano per lo sviluppo di un’intera filiera – quella dell’auto elettrica – in cui l’automotive tedesco è indietro rispetto alla concorrenza.

Le conseguenze di queste decisioni avranno ripercussioni sull’economia italiana. La Germania infatti è per l’Italia sia il primo mercato di destinazione dell’export che il primo Paese fornitore. A livello regionale la Lombardia, da sola, pesa per un terzo sull’interscambio complessivo, seguita da Veneto ed Emilia Romagna. Dall’altro lato della frontiera il Baden-Wuerttemberg e la Baviera sono le regioni tedesche maggiormente coinvolte negli scambi con l’Italia, e sono anche i due Länder più ricchi e più coinvolti in tutti gli aspetti della grande industria, a partire dall’automotive.

Il perno dell’interscambio Italia-Germania è la produzione industriale, con performance importanti nei settori siderurgico, chimico, farmaceutico, macchinari, agroalimentare, elettrotecnico-elettronico. Tutti settori ad alto consumo energetico che stanno valutando delocalizzazioni significative, con conseguenze dirette per le piccole e medie imprese italiane che vedranno ridurre la platea e i volumi di scambio delle controparti con cui lavorano come fornitori o terzisti.

Il problema quindi non riguarda solo la Germania. Secondo un sondaggio della European Round Table of Industrialists (ERT) e del Conference Board (TCB) rivolto a 56 amministratori delegati di grandi multinazionali europee, nei prossimi due anni più della metà di loro prevede di spostare le operazioni o gli investimenti (o entrambi) negli Stati Uniti, in Canada, e in parte anche in Messico.

La maggioranza degli intervistati ha affermato di ritenere che l’Europa stia perdendo competitività come base per l’industria, poiché il continente vacilla a causa dei rischi geopolitici, dei costi energetici elevati rispetto ai livelli del 2019, della carenza di risorse umane e di competenze, dalle interruzioni delle catene di approvvigionamento, dall’aumento dell’inflazione, dalle condizioni di finanziamento più rigide e dai costi di input record.

«I risultati sono una prova chiara e urgente che il futuro dell’Europa come base leader per l’industria rimane a rischio», ha detto Martin Brudermüller, amministratore delegato di BASF e presidente del comitato per la competitività della ERT. «Le tensioni geopolitiche globali stanno avendo enormi ripercussioni, e noi in Europa siamo nel bel mezzo di tutto questo».