La Settimana Internazionale

L’ascesa delle medie potenze nel nuovo risiko globale

Scritto il

di Federico Bosco

Nelle fasi iniziali l’invasione russa dell’Ucraina ha fatto temere uno scontro tra il “mondo libero” e l’autoritarismo della Russia e della Cina, una nuova guerra fredda in cui le due superpotenze nucleari avrebbero lanciato una sfida esistenziale all’ordine liberale costruito dagli Stati Uniti e dei suoi alleati in Europa e in Oriente. Nove mesi dopo il quadro appare più rassicurante, ma non meno complicato.

L’incontro tra Joe Biden e Xi Jinping al G20 di Bali ha dimostrato che “l’amicizia senza limiti” tra Mosca e Pechino ha in realtà molti limiti, e che non esiste un fronte anti-occidentale di Paesi disposti a seguire un’ideologia russa o cinese. Le grandi potenze però devono vedersela con una moltitudine di Paesi neutrali (o per meglio dire, indipendenti) che hanno come priorità l’interesse nazionale e come ideologia la propria visione del mondo.

Durante la guerra fredda erano le medie potenze a doversi adeguare alle volontà e ai disegni delle superpotenze, oggi al contrario sono gli Stati Uniti e la Cina a dover fare i conti con un mondo che viene rimodellato dall’attivismo delle potenze regionali. La guerra in Ucraina ha sconvolto gli equilibri esistenti e spinto le potenze regionali a fare i conti con insicurezze strategiche, limiti storici e nuove opportunità; trasformandole negli attori che plasmeranno la geopolitica dei prossimi anni. Turchia, Azerbaijan, Arabia Saudita, Iran, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, India, Kazakistan, e altri ancora. Tutti questi Paesi avevano forgiato le loro identità post-guerra fredda trovando un ruolo nel mondo delle economie interconnesse dalla globalizzazione, un sistema in cui i principali partner commerciali non sono necessariamente i più stretti alleati militari, e dove era possibile avere contemporaneamente relazioni profonde con Stati Uniti, Paesi europei, Cina e Russia senza rischiare conseguenze.

Di questa lista fanno parte Paesi in via di sviluppo dalla popolazione giovane, economie performanti ma in declino demografico, dittature stabili e semi-democrazie traballanti, membri costruttivi della comunità internazionale e nazioni diffidenti, o minacciose. Alcuni Paesi sono considerati potenze in virtù della posizione geografica, altri grazie alla disponibilità di materie prime. Tutte queste nazioni però condividono una caratteristica fondamentale: vogliono stare al tavolo dei grandi del mondo come soci alla pari, non come fette di una torta da spartire.

La posizione della Turchia

Un caso esemplare è la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. Ankara è riuscita a minimizzare la sua identità da Paese membro della Nato (dotato del secondo esercito dell’alleanza) per incarnare il ruolo di mediatore tra Mosca e Kiev. Nonostante sia a capo di un Paese in crisi economica con inflazione galoppante oltre l’80 per cento, Erdoğan ha assunto il ruolo di guardiano del Mar Nero – come gli spetta in base alla Convenzione di Montreux – e dell’accordo in sede ONU che garantisce le esportazioni del grano ucraino, diventando un punto di riferimento per l’Europa e per i Paesi dell’Africa e del Medio Oriente che dipendono da quelle forniture.

Erdogan può trarre vantaggio dalla guerra in Ucraina indipendentemente da come si svilupperà. Se la Russia ne esce indebolita la Turchia potrà farsi largo nel vuoto di potere in regioni che sente sue, come la Siria e il Caucaso meridionale. Se invece la guerra prosegue, Ankara continuerà a giocare su entrambi i tavoli ottenendo ricompense da Mosca (gas e petrolio) mentre fornisce armi a Kiev e continua a fare da mediatore per conto dell’Occidente.

La posizione dell’Arabia Saudita

L’Arabia Saudita, Paese leader dell’Opec e del cartello dei produttori del petrolio allargato alla Russia (Opec+), ha assunto il ruolo di garante della tenuta del prezzo del petrolio andando contro le richieste della Casa Bianca, ma senza promettere niente al Cremlino. L’obiettivo di Riyadh è tutelare i guadagni dei Paesi produttori, stressati da una guerra che sta colpendo le economie di mezzo mondo e ridisegnando i flussi commerciali del greggio e dei prodotti raffinati.

La posizione del Qatar

Il piccolo Qatar, che possiede le terze riserve mondiali di gas naturale dopo Russia e Iran, è diventato improvvisamente un protagonista del mercato europeo del gas naturale liquefatto, e sarà al centro di una competizione commerciale tra Paesi dell’Europa e dell’Asia per contratti a lungo termine, che serviranno a ripristinare gli stoccaggi per l’inverno dell’anno prossimo. L’Azerbaijan, anch’esso dotato di grandi riserve di gas nel Mar Caspio, si trova nella posizione di fornitore e crocevia (insieme alla Turchia) delle infrastrutture che porteranno idrocarburi dal Mar Caspio all’Europa, e in virtù di questa forza si prepara a una resa dei conti con Armenia e Iran.

La posizione dell’Asia Centrale

La guerra ha stravolto anche i fragili equilibri dello spazio post-sovietico asiatico, obbligando gli europei a scoprire i Paesi dell’Asia Centrale, fino all’anno scorso quasi sconosciuti e per lo più trascurati (paradossalmente proprio per non irritare la Russia). Nel corso di quest’anno il Kazakistan è diventato il Paese di riferimento della volontà di Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan e Kirghizistan di svincolarsi dall’influenza russa in favore di nuove e più solide relazioni con Europa e Cina.

Il ruolo delle medie potenze

Tuttavia, tra le medie potenze spesso ci sono interessi divergenti o in competizione, e in molti casi non c’è una mutua deterrenza nucleare a scongiurare lo scontro diretto. L’ambizione dei piccoli e la caduta dei grandi potrebbe alimentare nuove guerre, ma anche senza arrivare a tanto può portare a spinte protezionistiche e una trasformazione nella regionalizzazione delle supply-chain. Per i Paesi europei misurarsi con l’attivismo delle medie potenze è la nuova normalità di un ordine internazionale che ha perso gran parte delle certezze su cui faceva affidamento, una realtà che può diventare fonte di nuove opportunità o causa di altre crisi.