La Settimana Politica

Crisi medio orientale e terrorismo: rischio escalation

Scritto il

di Claudio Brachino e e Gabriele Politi

La parola chiave in questo momento per la situazione mediorientale è escalation.

È una parola, in realtà, con cui abbiamo fatto conoscenza l’anno scorso durante le prime fasi della guerra in Ucraina, quando escalation voleva dire terza guerra mondiale, un pericolo che ricorre continuamente in quel contesto geopolitico. Quando si parla di minacce nucleari, quando si parla della Russia che ha messo a punto nuovi missili, quando si parla della Nato che potrebbe reagire ad alcune provocazioni, quando si parla di un coinvolgimento di altri Paesi.

Escalation, una parola veramente terribile. E anche qui torna questo termine che fa pensare a un conflitto che si allarga, perché c’è questo terrore anche su quello che è successo dopo la tragedia del 7 ottobre in Israele e la macelleria compiuta da Hamas.

Ora il mondo è alla finestra per l’inevitabile rappresaglia di Israele su Gaza, non solo per non replicare l’orrore, cioè vittime civili tra i palestinesi, ma anche per evitare una complicazione politica.

Un intervento di Tel Aviv massiccio potrebbe far scattare anche la reazione dell’Iran e un ingaggio da parte dell’Iran farebbe scattare la rappresaglia dell’America, con le portaerei che già si trovano vicino al teatro del conflitto.

Per non parlare di altri Paesi del Medio Oriente che potrebbero essere coinvolti, per non parlare della Russia e della Cina, che non starebbe a guardare e che ha già espresso il suo sostegno ad Hamas.

Quindi la questione mediorientale è un tema di suspence planetaria, un tema che richiede la mediazione di tutte le potenze per evitare la caduta nell’inferno.

Ma escalation vuol dire anche l’allargarsi della crisi all’Europa, non tanto in un coinvolgimento militare diretto, ma per quello che è il rischio terrorismo.

Allerta fortissima nel nostro Paese, addirittura sono stati consegnati vademecum per la sicurezza a tutte le comunità ebraiche, non rimanere isolati ma evitare gli assembramenti e massima attenzione. C’è stata un’operazione della Digos a Milano, le due persone fermate sembrano appartenere a cellule terroristiche in qualche modo ricollegabili all’Isis.

L’attentato di Bruxelles

E poi c’è stato il professore sgozzato in Francia da un estremista radicalizzato ceceno e la tragedia che di nuovo ha coinvolto Bruxelles, la capitale delle istituzioni europee e insieme dell’islamismo radicalizzato; scoprimmo il quartiere di Molenbeek dopo il massacro del Bataclan, così simile al massacro compiuto durante il rave nel deserto lo scorso 7 ottobre da parte dei miliziani di Hamas.

Due tifosi svedesi uccisi durante la partita Belgio Svezia da un estremista islamico, ucciso poi a sua volta in uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine belghe. L’uomo in un video si era detto soldato dell’Isis.

Si parla ancora una volta di lupi solitari, di cellule piccole che si possono attivare anche con meccanismi del deep web. Insomma, torna anche in Europa l’incubo dell’estremismo di matrice religiosa. Anche questa è un’escalation, una nuova paura che si propaga come l’effetto a posteriori di una grande onda sismica, così come noi abbiamo titolato la scorsa settimana.

Ovvero lo sciame bellico di una crisi, di una febbre del mondo che scoppia in un punto e finisce in un altro, in una catena di violenza. Rischiamo di non tenere più il caos negli argini della razionalità, della pace, della diplomazia