La Settimana Politica

La scure di Giorgetti sul Superbonus: stop definitivo allo sconto in fattura

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Giorgia Meloni lo aveva definito «la più grande truffa ai danni dello Stato nell’intera storia repubblicana». Oggetto degli strali il vituperato Superbonus edilizio varato dal governo Conte per far ripartire l’economia del paese stremata dalla pandemia. Con la manovra approvata a fine anno erano già state introdotte delle limitazioni (previste prima dal D.L. n. 11/2023 e poi da quello n. 212/2023) ma, fatti due conti, il Ministro dell’Economia ha dovuto giocoforza esercitare l’opzione più estrema per guarire dal suo ormai storico “mal di pancia” provocato dalla misura: l’abolizione definitiva del meccanismo delle opzioni alternative (sconto in fattura e cessione del credito) che ancora resisteva.

Quello di Giorgetti è stato un blitz in piena regola visto che fino a ieri pomeriggio nessuno si sarebbe aspettato un nuovo intervento dell’esecutivo in merito. Invece, a sole poche settimane dalla legge dello scorso 22 febbraio che ha convertito il Dl n. 212/2023, approderà in Gazzetta Ufficiale un provvedimento d’urgenza che modifica radicalmente il regime previsto per gli ultimi due anni di Superbonus e per l’ultimo anno delle opzioni alternative. Il Superbonus era un insieme di «Norme nate in modo scriteriato e che hanno prodotto risultati devastanti per la finanza pubblica», ha ribadito senza troppi giri di parole il ministro dell’Economia, chiosando con sarcasmo:

«Qualcuno sorrideva sul mal di pancia. Confermo che fa malissimo a me e a tutti gli italiani»

I nuovi interventi mirano «a chiudere definitivamente la eccessiva generosità» della misura, ha concluso Giorgetti. Misura che secondo l’Enea ha sfondato a febbraio i 114 miliardi di costi per le casse dello Stato. E allora vediamo quali sono questi interventi.

La prima stretta prevede

«L’eliminazione, per gli interventi successivi all’entrata in vigore delle nuove norme, delle residue fattispecie per le quali risulta ancora vigente l’esercizio delle opzioni per il cosiddetto sconto in fattura o per la cessione del credito in luogo delle detrazioni»

si legge nel comunicato diffuso dopo il Consiglio dei ministri. L’esecutivo, come detto, era già intervenuto sulla possibilità di eseguire i lavori gratis girando poi la detrazione all’impresa o di monetizzare il credito. Il Superbonus era ancora cedibile o scontabile se la presentazione della Cilas e l’adozione della delibera assembleare dei lavori fossero rientrate entro il 16 febbraio 2023 oppure se fosse stata presentata l’istanza dell’acquisizione del titolo abilitativo per gli interventi di demolizione e ricostruzione. Questo valeva anche per il Terzo settore, per gli Istituti di case popolari e per gli interventi di ricostruzione nelle aree del sisma. Con il nuovo decreto è tutto destinato a sparire. Al di là del 110%, la cessione o sconto in fattura restano possibili per altri interventi come ad esempio il bonus barriere architettoniche al 75%, per il quale era stato fatto a inizio anno un altro decreto “Salva spese” che, oltre a ridurre i casi di incentivazione al 75%, vietava espressamente le opzioni per la rimozione delle barriere iniziata dal 1° gennaio 2024. Nelle previsioni del Governo questa stretta non si è rivelata sufficiente, ecco dunque il nuovo stop che dovrebbe riguardare solo gli interventi avviati dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del provvedimento con i dettagli tecnici fondamentali.

L’altra misura che mette una pietra tombale sul Superbonus è quella relativa alla remissione in bonis, che viene cancellata. Il provvedimento firmato dal direttore dell’Agenzia delle entrate Ernesto Ruffini lo scorso 21 febbraio fissava al 4 aprile 2024 (ma oggetto di proroga proprio con quel provvedimento) il termine entro cui comunicare lo sconto in fattura o la prima cessione del credito maturato per le spese sostenute nel 2023, o per le rate residue non fruite delle detrazioni riferite alle spese sostenute nel 2020, 2021 e 2022. Tramite la remissione in bonis ci si poteva comunque regolarizzare fino al 15 ottobre successivo, recuperando la documentazione e pagando una sanzione (modesta) di 250 euro. In questo modo però lo Stato non avrebbe contezza di quanto stia crescendo la mole dei crediti fiscali maturati. Scrive Palazzo Chigi nella nota:

«Al fine di acquisire, alla scadenza ordinaria del termine previsto per le suddette agevolazioni (4 aprile 2024), l’ammontare del complesso delle opzioni esercitate e delle cessioni stipulate, si esclude l’applicazione dell’istituto della remissione in bonis che avrebbe consentito, con il pagamento di una minima sanzione, la comunicazione funzionale alla fruizione dei benefici fino al 15 ottobre 2024»

Infine, Giorgetti ha spiegato che per tutti i lavori incentivati scatterà una «comunicazione preventiva nel momento in cui si inizia il lavoro o meglio la progettazione, in modo di avere un monitoraggio preventivo del fenomeno e non al momento in cui le fatture vengono caricate sulla piattaforma dell’Agenzia delle Entrate». Questa è una novità che prevede una multa salata:

«L’omessa trasmissione di tali informazioni, se relativa agli interventi già avviati, determina l’applicazione di una sanzione amministrativa di euro 10.000, mentre per i nuovi interventi è prevista la decadenza dall’agevolazione fiscale»

Ci sono novità anche per le imprese: per prevenire le frodi in materia di cessione dei crediti Ace (aiuto scomparso con la riforma fiscale) si riduce a una soltanto la possibilità di cessione e si estende la responsabilità solidale del cessionario alle ipotesi di concorso nella violazione. Viene introdotto l’ampliamento dei controlli preventivi sulle operazioni sospette e le imprese dovranno comunicare preventivamente le cessioni di crediti, come quelli per gli investimenti innovativi di Transizione 4.0 (obbligo già previsto dalla nuova versione 5.0).

L’altro provvedimento approvato dal Cdm che sta facendo discutere è quello relativo ai test psicoattitudinali per l’accesso alla professione dei magistrati che, a partire dai bandi pubblicati nel 2026, dovranno valutare la personalità dei candidati. Il decreto legislativo ha subito modifiche fino all’ultimo minuto che non hanno placato le proteste dell’Associazione nazionale magistrati: sarà il Consiglio superiore della magistratura a nominare i docenti universitari in materie psicologiche che faranno parte della commissione giudicante su indicazione del Consiglio universitario nazionale, organo indipendente dell’università. Il colloquio psicoattitudinale si terrà nel corso della prova orale, ma già dopo la prova scritta il candidato riceverà un foglio con dei test, individuati dal Csm sul modello di quelli utilizzati per gli agenti di polizia. Questi costituiranno la base per il futuro colloquio psicoattitudinale, che sarà diretto dal presidente della commissione esaminatrice e non da uno psicologo, presente solo come supporto. Per il ministro della Giustizia Carlo Nordio non c’è «nessuna invasione di campo del governo» ma l’Anm starebbe già pensando a uno sciopero. «Quando entrambe le Camere ti inviano determinate osservazioni è un dovere quasi del governo quello di adeguarsi. Purtroppo – ha sottolineato Nordio – abbiamo assistito in questi giorni a una polemica di cui mi rammarico come magistrato, come quando è stato criticato il concorso ai soli giudici onorari senza leggere la bozza di un testo ancora in fieri. Sono polemiche sterili, vuote astrazioni polemiche, nessuno ha mai pensato di introdurre valutazioni periodiche dell’attitudine e della psiche dei magistrati», ha chiarito il Guardasigilli.

«Questa è un’attuazione della legge delega del 2022, che pone come termine finale essenziale il 30 marzo. Questa attuazione riguarda soltanto l’ingresso in magistratura, quindi tutto quello che abbiamo sentito sulle valutazioni periodiche della psiche dei magistrati sono vuote astrazioni polemiche, perché nessuno ha mai pensato di introdurre una cosa del genere»

ha concluso Nordio. I test psicoattitudinali per i magistrati sono un vecchio pallino del centrodestra e in particolare di Silvio Berlusconi; è difficile non pensare che la misura approvata in Cdm sia figlia della famigerata affermazione che il Cavaliere fece in Sardegna, dagli sfarzi di Villa Certosa, a due cronisti del settimanale britannico The Spectator. Era fine agosto 2003 e l’allora premier se ne uscì con questa frase:

«Questi giudici sono doppiamente matti! Per prima cosa perché lo sono politicamente; secondo, sono matti comunque»

Sembravano altri tempi. E invece sono ancora qua.