La Settimana Politica

Cultura “di sinistra”, i perché di un binomio che resiste

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di Giuliano Cazzola e Franco Vergnano

È come minimo, intellettualmente disonesto non riconoscere che l’Italia ha subito una innegabile egemonia culturale a senso unico. Del resto teorizzata da Gramsci.

Ce la siamo inventata noi la “cinghia di trasmissione e l’intellettuale organico”? Eppure nei talk show più sono colti, più mistificano (c’è chi negherebbe di avere una madre).

La società italiana è stata talmente imbibita che se non eri – e avevi un lifestyle (a cominciare da Clark e kefiah, vacanze a Stintino o Capalbio comprese) – “di sinistra” non andavi da nessuna parte. E questo nelle grandi come nelle piccole cose: il principale quotidiano italiano fece un endorsement per l’Ulivo; a Milano un editore schierato arruolava venditori anarchici per le aree Ztl.

Un giovane Lucio Battisti fu massacrato perché non era nel mainstream: anzi, di lui si diceva che fosse di estrema destra; poi magari ascoltavano le sue canzoni di nascosto. Renzo De Felice ha rischiato la cattedra per essere stato “revisionista” sul fascismo e Giampaolo Pansa è stato crocifisso per aver raccontato le “vendette rosse” del dopo Resistenza. Se sei intellettuale, scrittore, regista di talento non potevi non essere di sinistra. Pietro Germi è stato un grande regista, ha portato sullo schermo battaglie civili importanti che hanno avuto la capacità di persuadere l’opinione pubblica della necessità di cambiare non solo le norme del Codice Rocco, ma la cultura della provincia profonda. Aveva il difetto però di essere socialdemocratico e quindi rimase sempre in seconda fila. Giuseppe Berto non fu mai valorizzato come meritava. Persino un capolavoro come Il gattopardo venne giudicato un libro di destra.

Ma al di là di mille aneddoti il tema è: “Perché?” Certo, l’egemonia non è né colpa, né sopruso. Il Pci, anche nei momenti di grande difficoltà, quando i lavoratori comunisti venivano discriminati e licenziati, fu sempre in grado di trovare argomenti in grado di mobilitare tante ‘’anime belle’’.

Dai “partigiani della pace’’ di osservanza sovietica a un’idea della Resistenza (sopravvissuta anche adesso nell’Anpi, dove si diventa partigiani sulla base dei criteri del ddl Zan ovvero assumendo quella identità) discriminatoria ed esclusiva. Ma il grande capolavoro del Pci fu quello di capire che cosa si stava muovendo all’interno della magistratura. All’inizio assicurò una copertura politica a quelle correnti che attribuivano al giudice il compito di cambiare la società senza sentirsi vincolati all’applicazione delle leggi e rivendicando un’idea diseguale del diritto, allo scopo di aiutare il riscatto delle classi subordinate.

L’alleanza con la magistratura si è rivelata preziosa nella salita al potere e nel tentativo di eliminare per via giudiziaria chi si era frapposto lungo questo cammino. Se un partito è in grado di guadagnarsi l’egemonia nei settori più importanti delle istituzioni e della società civile, nulla quaestio. Il fatto è che la sinistra dal 1989 in poi – quando il suo mondo le crollava addosso – non ha esitato a preservare quelle posizioni di potere conquistate come se le appartenessero per diritto di nascita, benché non avesse più niente di nuovo da dire.