La Settimana Politica

PNRR impantanato e flessibilità UE

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di Federico Bosco

Da quando il governo di Giorgia Meloni è entrato in carica, il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni ha ricordato in più occasioni che l’Italia dovrebbe darsi una priorità: attuare le riforme e realizzare i progetti concordati con la Commissione europea nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) per investire con successo gli oltre 200 miliardi di euro di sovvenzioni e prestiti destinati all’Italia.

L’argomento è tornato al centro del dibattito politico la settimana scorsa, dopo che Roma e Bruxelles hanno deciso di prorogare di un altro mese – da fine marzo a fine aprile – l’erogazione dei 19,5 miliardi della terza tranche di fondi. Il periodo di valutazione della Commissione era già stato esteso rispetto alla scadenza iniziale di febbraio, ma il tempo concesso non è stato sufficiente per risolvere i punti critici.

A rincarare la dose è arrivata la relazione della Corte dei conti sullo stato di attuazione del PNRR, che ha riscontrato ritardi nella spesa dei fondi ricevuti finora e nell’attuazione dei progetti. Alla fine del 2022 erano stati spesi 23 miliardi di euro dei 67 miliardi erogati finora dall’Unione europea. Per quel periodo il governo Draghi aveva previsto di spendere 33 miliardi.

Il risultato di questo stop è che adesso tutti riconoscono pubblicamente quello che fino a poche settimane prima si diceva solo nei corridoi di Roma e Bruxelles: così com’è il PNRR non può essere realizzato, va ridotto e modificato. Il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto (l’uomo del PNRR per conto di Meloni) ha affermato che il Paese non riuscirà a completare entro la scadenza del 2026 alcuni dei progetti necessari per lo sblocco di tutti i fondi.

Quanto accaduto non solo dimostra che gli appelli di Gentiloni sono rimasti inascoltati, ma mette la Commissione davanti alla prospettiva di trovarsi fra qualche anno con un enorme problema: come risolvere la questione di un Paese dell’Eurozona con un debito pubblico che supera il 150% del Pil che non riesce a riformarsi e a crescere nonostante un piano di investimenti senza precedenti?

Per ora ci si augura di rimettere le cose in ordine. «L’Italia ha margini per rinegoziare i termini del Pnrr e non dovrebbe avere problemi a incassare la  terza tranche», ha detto Gentiloni a margine del forum Ambrosetti a Cernobbio. «Abbiamo già approvato la revisione dei piani di Lussemburgo Germania e Finlandia – ha spiegato Gentiloni – Quando arriveranno le proposte dall’Italia, la Commissione le analizzerà con la massima flessibilità».

Tuttavia, le proposte non stanno arrivando, e se il governo preferisce cercare capri espiatori si rischia di perdere quasi tutto, addirittura restituendo i soldi ricevuti ma non spesi.

Come ha detto Gentiloni, l’Ue ha approvato le modifiche dei piani di Lussemburgo, Germania e Finlandia, ma questi Paesi hanno modificato un paio di investimenti di un piano irrilevante per le loro economie: non sono piani da oltre 200 miliardi di euro con centinaia di riforme e progetti come il Pnrr, da cui dipendono aspetti fondamentali della reputazione dell’Italia in Europa.

Il peso politico ed economico del Recovery Fund non è lo stesso per tutti i Paesi europei. Finora Bruxelles ha dato agli Stati membri oltre 150 miliardi, l’Italia ne ha incassati 67, che senza i ritardi nell’approvazione della terza tranche (19,5 miliardi) sarebbero stati 86 miliardi: più della metà di quanto erogato finora. Oltre all’Italia, solo la Spagna ha già chiesto la terza tranche, alcuni Paesi non hanno neanche chiesto la prima limitandosi a incassare il pre-finanziamento (come Germania e Paesi Bassi).

Qualcuno nella maggioranza vorrebbe dare la colpa all’ex premier Mario Draghi, ma lui fu chiamato per salvare la bozza di Pnrr del predecessore Giuseppe Conte (vuota di riforme e piena di investimenti a pioggia). Dare la colpa all’Europa sarebbe ancora più scorretto e controproducente, quindi il bersaglio più comodo è il secondo governo di Conte, sostenuto da M5S e Pd ora all’opposizione.

Ma l’obiettivo deve essere salvare gli investimenti del PNRR, non la reputazione del governo in carica. A fare la differenza è cosa si farà adesso. I piani del ministro Fitto di rimodulare PNRR e fondi della coesione, spostando progetti, per quanto interessanti, non cambiano la sostanza del problema: l’Italia fa troppa fatica a spendere i soldi che arrivano dall’Ue, che siano quelli del Recovery o della coesione.

Tra gli esperti si sta facendo strada l’idea che c’è una sola reale possibilità di salvare la parte migliore del PNRR: selezionare insieme alla Commissione quali progetti portare avanti e quali cancellare, scegliendo quelli che hanno la reale possibilità di incidere sulla crescita del Paese e che possono essere realizzati entro il 2026.

Un taglio che potrebbe dimezzare il PNRR penalizzando le piccole e medie imprese, che perderanno la possibilità di partecipare alla realizzazione di quei progetti che avrebbero potuto essere distribuiti più equamente nel Paese. Ma ormai non sembra esserci scelta. Altrimenti, da grande opportunità il Pnrr rischia di diventare un enorme affresco della catastrofe italiana.