Le opinioni

Comprare tempo in più per noi stessi: quanto siete pronti a pagare?

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di Antonio Dini (giornalista e scrittore)

Quanto sei disposto a pagare il tuo tempo libero? La domanda è meno strana di quel che può sembrare e nasce da un incontro casuale.

Qualche tempo fa mi ha cercato un amico di lunghissima data, dai tempi della scuola, che vive all’estero. Mi chiedeva quale fossero quattro o cinque giorni comodi per me da qui a dicembre per vederci da qualche parte in Europa con un altro paio di amici storici: per non perdere i contatti e passare un po’ di tempo insieme. La vita è breve, se non ci vediamo adesso cosa aspettiamo, di essere all’ospizio? Gli ho risposto che quest’inverno, tra lavoro e famiglia, ho un’agenda sistematicamente piena al punto che è difficile pianificare qualsiasi viaggio e vacanza extra. E anzi, mi chiedevo come facesse lui, che ricordavo vivere una vita altrettanto complicata. Come tutti, del resto.

La risposta che mi ha dato è semplice: il suo datore di lavoro gli offre la possibilità di “comprare più tempo libero”. Ferie annuali aggiuntive sacrificando una certa quantità di stipendio. Da italiano abituato alle rocciosità del nostro diritto del lavoro e dell’annesso diritto sindacale (“Un diritto – mi diceva nelle aule universitarie Gino Giugni una vita fa – volutamente e necessariamente conflittuale”) non so neanche se sarebbe accettabile una impostazione del genere per il nostro ordinamento. Però lasciatemi libero di fantasticare per un attimo.

Proviamo ad applicare la razionalità economica al rapporto tra lavoro e tempo libero: il mio amico quantifica in modo netto la vita al di fuori del lavoro e gli dà un numero specifico. Mette un prezzo per stare con chi ama. Vuole passare più tempo con i suoi genitori anziani? Gli costerà X euro al giorno. Vuole prendersi una settimana per rivedere i vecchi amici? Y euro. A vederla così, sembra meno strano.

Il lavoro, dal punto di vista di chi va in ufficio, è per sua natura uno scambio tra tempo e denaro. E la scelta del lavoro dovrebbe essere pianificata tenendo conto anche di questa variabile. Il mio reddito attuale, ad esempio, è inferiore a quello di un tempo perché ho intenzionalmente barattato reddito con più tempo libero. Oppure il contrario: lavoro tutta la settimana e guadagno molto, ma non ho più tempo libero. Se si sceglie la prima strada è perché si valuta che la propria vita sia qualcosa di più che non solo denaro e lavoro. Nell’altro caso invece si cerca, magari per un periodo limitato nel tempo, di massimizzare i guadagni in vista di un’obiettivo superiore (che magari è diventare il capo, o raggiungere un certo status socio-economico).

Il problema è che queste scelte sono rigide. Quello che mi dice il mio amico è che invece è possibile una flessibilità maggiore all’interno del lavoro tradizionale. Dal mio punto di vista il concetto di “costo di un giorno libero” è solo un po’ più difficile da quantificare perché sono un lavoratore autonomo, ma esiste. Eccome se esiste. Il giorno che non lavoro è un giorno che non guadagno.

Continuiamo ancora per un momento a fantasticare al di fuori dei due secoli di materiale giuslavoristico che rendono difficile anche solo capire di cosa stiamo discutendo quando parliamo di lavoro nel nostro Paese. Invece, il giornalista economico Derek Thompson, che ha scritto uno straordinario articolo sulla “religione del lavoro” per l’Atlantic, spiega molto bene un concetto che spesso perdiamo di vista:

Il lavoro non è il prodotto della vita, ma la sua moneta. Ciò che scegliamo di comprare con esso è il progetto della vita.

Invece, lo pensiamo al contrario e sbagliamo. Adesso, dopo la pandemia e i lockdown, ci stiamo arrivando, ma da una via traversa e non sempre salutare: quella del lavoro a distanza, o smart working.

Il terreno è conflittuale: da una parte molti dipendenti si rifiutano di tornare in ufficio perché lavorando da casa la qualità della vita migliora, dall’altra le aziende cominciano a offrire la settimana corta (con riduzione di orario e stipendio) o a chiedere il rientro in ufficio a tempo pieno.

Nessuno si pone la domanda di fondo: qual è il progetto della nostra vita? E di quanti soldi abbiamo bisogno per realizzarlo? Quanto tempo siamo disposti a impiegare per riuscirci?

Se posso darvi la mia modesta opinione, da persona secondo la quale contano più i fatti che non le parole, ho fissato i quattro giorni a dicembre per stare con i miei amici.