Le opinioni

DEF, tra slanci prudenti e risorse contenute

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di Giuseppe Pizzonia (Docente di diritto tributario)

Approvata a dicembre la manovra per il 2023, è già ripartito – con il varo del Documento di economia e finanza (DEF) – il ciclo che culminerà entro fine anno con la nuova legge di bilancio 2024. Il DEF, che deve essere presentato dal Governo al Parlamento entro il 10 aprile di ogni anno, descrive la situazione economica e finanziaria del Paese e – soprattutto – espone gli obiettivi per gli anni futuri.

La parte più interessante è certamente quella relativa al Programma nazionale di riforma, da sottoporre, assieme al Programma di stabilità, alla Commissione europea; questa formulerà raccomandazioni su stimoli all’occupazione, alla crescita e agli investimenti, avendo riguardo alla solidità della finanza pubblica di ciascun Stato membro.

Gli obiettivi dichiarati del DEF 2023 sono quattro: superamento di alcune assai onerose misure di incentivazione degli ultimi tre anni (bonus, etc.), riduzione del deficit e del debito in rapporto al Pil, sostegno alla crescita ed alla ripresa economica, riduzione dell’inflazione.

Molteplici le proposte e le analisi formulate per riformare vari ambiti dell’attività pubblica.

Il piatto forte è ovviamente sul fronte fiscale, con misure ambiziose già delineate nel recente progetto di riforma fiscale.

Anzitutto, la riduzione dell’Irpef, ma con modalità tutte da scoprire. In prima battuta, una riduzione degli scaglioni, in parte compensata dal ridimensionamento delle tax expenditures, con vantaggi verosimilmente concentrati sui livelli reddituali medio-bassi. A tendere, oltre alla sempre invocata riduzione del cuneo fiscale, una estensione della cosiddetta flat tax, anche per superare le attuali distorsioni, e benefici per i redditi incrementali. Misura, quest’ultima, interessante, ma di limitata incidenza nell’area del lavoro dipendente. Se alla fine ci saranno – o no – vantaggi sarà tutto da vedere.

A questo si aggiunge la riduzione dell’imposta sulle società, per chi investe o assume. Riduzioni possibili anche in ambito Iva – nei limiti consentiti dalle direttive Ue – per contenere gli impatti inflazionistici.

La pressione fiscale dovrebbe ridursi dal 43,3% nel 2023, al 42,7% nel 2026, un livello comunque superiore alla media europea e, soprattutto, non giustificato dalla qualità dei servizi pubblici. Verrà a questi fini istituito un apposito Fondo, ma con una dotazione al momento di appena 4 miliardi.

Viene confermato il livello di indebitamento già autorizzato dall’Ue lo scorso anno, ma si chiede anche l’autorizzazione a incrementarlo. Le maggiori risorse dovrebbero essere destinate ad un provvedimento per sostenere il reddito disponibile ed il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti, e per interventi di riduzione della pressione fiscale.

Se il sostegno al reddito è sicuramente una misura opportuna in questo momento (oltre che necessaria), il ricorso all’indebitamento per ridurre la pressione fiscale potrebbe destar qualche perplessità. La via maestra rimane sempre l’incremento del PIL e la riduzione della spesa pubblica (e dei tributi).

E a proposito di PIL, nel DEF si prende atto che l’impatto positivo legato all’attuazione del PNRR sarà inferiore al previsto, a conferma delle difficoltà di attuazione del Piano. Stimato invece in positivo l’impatto dell’immigrazione, suscitando stupore e pretestuose polemiche. Niente di strano, invece, se è nuova forza lavoro, impiegata in regola con imposte e contributi. E ciò mentre alcuni stimano, per quadrare i conti del 2024, che occorrano ancora almeno 17-20 miliardi.