Le opinioni

Extra profitti bancari e delega, la lunga estate calda della riforma tributaria

Scritto il

di Antonio Tomassini
Partner DLA Piper e docente di diritto tributario

Il fisco è sempre un tema caldo, figuriamoci in estate. I due principali fronti tributari che hanno caratterizzato il Ferragosto 2023 sono agli antipodi. Il primo riguarda uno tra i tanti interventi estemporanei, ispirato ad un incerto intento equalizzatore, che va a colpire di nuovo il feticcio degli “extra” (come se ci fosse un tetto entro cui uno possa guadagnare) profitti, questa volta delle banche; il secondo è invece un intervento sistemico di riforma tributaria, contenuto nella legge di delega approvata il 9 agosto, che impone uno sforzo quasi più culturale che normativo.

Sul fronte dell’imposta sugli extra profitti delle banche (con la significativa aliquota del 40%) che, come già accaduto per il mondo dell’energia, espone il legislatore a rischi di censure di costituzionalità e di impatti economici distorsivi, si stanno studiando correttivi. Difficile il percorso verso la detraibilità (che farebbe diventare l’imposta una sorta di prestito forzoso da iscrivere tra i debiti nel bilancio dello Stato) o deducibilità dell’imposta, che creerebbe una discriminazione rispetto al tributo sugli extra profitti energetici. Più percorribile invece la strada della esclusione delle piccole banche e di una correzione sul fronte della base imponibile, che essendo determinata sul margine di interesse rischia di disincentivare l’acquisto di titoli di Stato da parte delle banche, che è invece fondamentale che non subisca flessioni, soprattutto considerando l’ammontare sempre crescente del nostro debito pubblico (che è meglio si trovi in mani stabili italiane e europee).

Lato delega, invece, l’iter di approvazione ha rispettato le attese. La legge 111 del 9 agosto 2023 conferma le ambizioni, abbracciando tutti i tributi e momenti del rapporto fisco-contribuente, dai controlli, al contraddittorio, alle sanzioni, al contenzioso, fino alla riscossione, senza dimenticare la semplificazione e codificazione normativa.

La delega consta di ventitré articoli distribuiti in cinque Titoli. Il Titolo I riguarda i principi generali e lo Statuto del contribuente. Evocativo l’art. 2, dove si fissano obiettivi “alti”, come lo stimolo della crescita economica e alla natalità. Il Titolo II riguarda i singoli tributi. L’art. 5 disegna una Irpef rinnovata anche se in modo graduale (con gli scaglioni di reddito che passano da 4 a 3), la flat tax è un obiettivo ma non a breve termine; complesso anche il riordino delle tax expenditures (che sono arrivate all’incredibile numero di 636, secondo i dati MEF). A pesare sull’Irpef sicuramente le incertezze legate alle coperture.

Sul fronte della fiscalità societaria ci sembra che l’attuazione sia più agevole, anche perché alcune delle misure proposte sono a costo zero, anzi possono fungere da stimolo per l’adempimento spontaneo. Il Titolo III attiene alla disciplina di accertamento, riscossione e contenzioso. Il Titolo IV riguarda la spinta alla semplificazione e alla codificazione. Il Titolo V contiene le (stringenti) disposizioni finanziarie.

In termini generali bene anche il riferimento a tre fondamentali pilastri per migliorare il futuro del nostro Paese e la sua sofferta relazione con i tributi: (i) la certezza del diritto, fondamentale da garantire agli investitori; (ii) il coordinamento della riforma italiana con il contesto internazionale, anch’esso interessato dai venti riformatori dell’Ocse e dell’Ue, su tutti il Pillar 2 volto ad introdurre una minimum tax globale al 15%; (iii) l’evoluzione tecnologica, che avrà un ruolo cruciale sia nella parte sostanziale del rapporto di imposta che in quella procedurale.