Le opinioni

Il capitalismo finanziario divenuto “della sorveglianza” che riduce l’Uomo a merce

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C’è una malapianta che si sta insinuando nella nostra società digitale e algoritmica: è quella del “capitalismo della sorveglianza”. Si tratta di una pessima e nefasta sintesi dei vecchi concetti del “neoliberismo capitalista”, tipico delle pseudo democrazie occidentali, e del “dirigismo post marxista”, quest’ultimo da tempo ben interpretato dal dragone cinese.

Siamo così passati dalla contrapposizione del secolo scorso tra una forma di capitalismo industriale e una di marxismo mal applicato in una logica dittatorial-comunista, alla fusione di un capitalismo finanziario neoliberista e ipocritamente  ambientalista (sic!) con un potere tecnocratico e oligarchico che opera attraverso il controllo, per giungere alla manipolazione e repressione delle genti.

Siamo invasi da telecamere, microchip, tracciamenti telefonici e digitali. Paradossalmente, l’insicurezza cresce

Queste forze, oscure ma non troppo, hanno gioco facilitato dai progressi tecnologici dell’ultimo ventennio che rendono malignamente efficace il controllo e la repressione delle forme di dissenso se non, addirittura, di semplice critica. Ecco quindi annichilita la possibilità di espressione: il pensiero deve essere unipolare, tecnocratico, scientifico secondo una visione determinista e dogmatica, tutt’altro che democratica; il contrario di una scienza indipendente che dubita, ricerca e così evolve.

A monte di questa pericolosa versione capitalistica, che definiamo “della sorveglianza”, ci sono quelle che Mussolini definiva le “democrazie plutocratiche”, società cioè in cui la vita pubblica è dominata da gruppi finanziari mediante enormi disponibilità economiche concentrate in poche mani.

Questi “plutocrati” condizionano gli indirizzi politici dei governi mediante due principali leve: quella finanziaria, appunto, quasi sempre occulta rispetto alla percezione delle grandi masse, e quella di comunicazione, indispensabile per orientare le opinioni e senza la quale l’esclusiva disponibilità economica non sarebbe sufficiente per garantire i risultati di dominio dei popoli.

E così, con la scusa della repressione del crimine e del controllo sanitario, veniamo invasi da telecamere, microchip, tracciamenti telefonici e digitali, droni che ci ronzano sulla testa, multivelox che non transigono su un solo chilometro all’ora di velocità in più concessa, carte bancarie ormai indispensabili per l’utilizzo del denaro di nostra proprietà (ma in realtà detenuto dalle banche) e così via.

Siamo controllati, condotti, inquadrati. A fronte di ciò, paradossalmente, aumentano i crimini di strada, intere zone delle città diventano inaccessibili non solo ai cittadini, ma alle stesse forze dell’ordine, pena seri rischi di incolumità personale.

Ma quindi, il “capitalismo della sorveglianza”, che poi si trasforma in “dittatura del controllo” verso chi è concentrato? Verso un ceto medio che dà fastidio alla classe dominante, quest’ultima già reclusa nelle proprie residenze dorate, protette da guardie giurate.

Ci troviamo a essere immersi in un mondo dicotomico: da un lato, i pochi sempre più ricchi; dall’altro, i molti sempre più poveri. Una forbice che si allarga. Una forbice che prima o poi si richiuderà con estremo dolore per entrambe le parti, come pronosticava all’inizio di questo travagliato millennio l’economista John Kenneth Galbraith.

Una forbice in mezzo alla quale rimane però l’Uomo, l’essere umano che non viene più considerato come tale, perché diventato ormai esso stesso un prodotto, un bene che trovi esposto o nelle boutique di lusso del centro, oppure nel discount di periferia.

Pur sempre però ridotto a merce. Al soldo di quel capitalismo finanziario trasformatosi appunto in “capitalismo della sorveglianza” proprio per via dell’estremo tentativo di impedire l’invece ormai inevitabile e dolorosa “per tutti” chiusura delle due lame.