Le opinioni

Il finto mito del nomadismo digitale: abitare sui social non rende felici

Scritto il

di Antonio Dini
(Giornalista e scrittore)

Come si fa a essere felici e vivere bene? Non temete se la risposta non vi viene facile, perché non siete i primi a esservelo chiesto e non siete neanche i primi a non averlo capito. Però è un settore vivace, quello delle risposte a questa domanda. Purtroppo, spesso sono sbagliate: idee che ci arrivano da fuori e dalle quali ci lasciamo trasportare.

Da creature facilmente influenzabili come siamo (e la pubblicità a partire dalla fine dell’Ottocento lo ha capito benissimo), abbiamo sempre costruito la nostra idea di felicità sulla base di quello che la società ci ha proposto di volta in volta: il boom economico, il sogno americano, i film e le canzoni, gli anni Ottanta. Tutte ripetevano cose già viste, ma che ci prendono regolarmente di sorpresa.

Adesso la felicità è diventata una vita ben pettinata e sempre sopra le righe, magari a giro per il mondo, come una collezione di foto su Instagram o un bel video su YouTube, anzi un travelog, come si dice: un diario di viaggio video, ovviamente in posti bellissimi e sempre divertendosi alla grande. Dopotutto, questo è il modello che emerge unendo i puntini di milioni di foto e video sui social. Un modello di divertimento assoluto fatto sostanzialmente di spostamenti, dislocazione dei problemi per raggiungere il nirvana di una immagine digitale. Con la fenomenale infrastruttura del trasporto aereo di massa e delle low cost, il mondo è diventato il nostro cortile. Milano Marittima oggi è a Bali, Rimini è il Messico. Il vero divertimento è a portata di mano.

Poi, certo, la pandemia ci ha messo lo zampino, anzi la zampona, e ha fatto capire a molti che la vita è breve e che lavorare da casa è meglio perché l’ufficio è come la scuola: un posto brutto perché lo stereotipo ovviamente è che la scuola sia un posto brutto.

Invece, cantando Mamma guarda quanto mi diverto l’idea della ricerca della felicità come esaltazione di se stessi, stati d’animo sempre e solo positivi ed esotismo estetico come medicina per tutti i mali, è diventata l’idea più diffusa. Il nuovo oppioide sintetico per il popolo digitale.

Se la generazione di Diego Abatantuono e Gabriele Salvatores sognava di lasciare l’ufficio e la città per aprire il Chiringuito in località esotica e marina, adesso il nuovo sogno è diventare nomadi digitali.

Avere un bel lavoro, che paghi bene, per vivere viaggiando e spostandosi. Tanto il posto di lavoro non è più un posto ma un personal computer, che per definizione può essere portatile. La vita di ufficio sono diventate videocall e i soldi si ricevono magicamente sul conto corrente che, con l’home banking e le app, ormai si può gestire da dove si vuole.

In questo progetto estetico di esistenza nomadica, basta andare su AirB&B per trovare con pochi click una casa bella e già arredata. Ovviamente vicino a un bar dove andare a lavorare gustando un beverone al caffè mentre si svolgono le normali pratiche d’ufficio, certo, ma dai Caraibi. Tutto bello, solo che non funziona così. È triste dirvelo se questo era il vostro piano per l’anno prossimo: lasciare tutto e andare a vivere a zonzo per il mondo, che costa meno del mutuo e almeno vivi la vita alla grande, non è una buona idea.

Intanto, perché non siamo sempre allegri e felici, e pensare che viaggiare in bei posti ci cambierà è un sogno dal quale ci si risveglia in modo decisamente brusco. Il mondo là fuori è uguale al mondo qua fuori: se abbiamo il muso lungo a casa nostra, è certo che l’avremo anche dall’altra parte del pianeta. Le foto che vedete sono finte, come lo sono i sorrisi sparati che le persone tirano fuori quando si fanno un selfie, salvo poi tornare mogi subito dopo.

Poi, non è una buona idea perché ci sono una serie di problemi senza fine dal punto di vista fiscale (ci sono Paesi che tassano le persone che lavorano nei loro bar, anche se sono stranieri e lavorano per aziende straniere, per dire), previdenziale, assistenziale, assicurativo.

Infine, perché c’è uno sbaglio fondamentale alla base: se la nostra risposta alla vita è andarcene, abbiamo già perso. È come pensare di voler andare a vivere su Marte perché la Terra è inquinata: è la risposta sbagliata. La risposta giusta è rimboccarsi le maniche e rimettere le cose a posto qui dove siamo. Almeno un poco, nel nostro piccolo. Vedrete che facendo così troverete anche un senso e all’improvviso un’idea di felicità che non è ridere come degli svalvolati nei reel su Instagram. Essere felici e vivere bene, casomai, comincia stando lontani dai social, che non sono posti dove abitare ma strumenti per comunicare con gli altri. E tornare a vivere nel più bel Paese del mondo nel quale, per una botta di fortuna incredibile, siamo nati: l’Italia.