Le opinioni

Il futurista erudito e il paradosso del perdente che sapeva troppo

Scritto il

di Antonio Dini
(Giornalista e scrittore)

Umberto Eco, si sa, oltre che un grande intellettuale e scrittore, era anche una persona molto giocosa. Goliardica, anzi. E affrontare la vita con la capacità di prendersi in giro e sorridere è un requisito per tutti, in qualsiasi contesto. Solo che ogni tanto scherzava e giocava con i suoi lettori ai quali, magari, mancava il dono dell’ironia e non capivano che quello che diceva era da intendere all’esatto contrario.

Mi è venuto in mente rileggendo una frase, un po’ di tempo fa, che tocca da vicino tutte le persone che fanno business, si occupano di impresa e di gestione aziendale. Diceva Umberto Eco:

I perdenti, come gli autodidatti, hanno sempre conoscenze più vaste dei vincenti, se vuoi vincere devi sapere una cosa sola e non perdere tempo a saperle tutte, il piacere dell’erudizione è riservato ai perdenti. Più cose uno sa, più le cose non gli sono andate per il verso giusto.

Ecco, bisogna capire che questo ritratto del perdente, la persona che ne sa troppe per farne bene anche solo una, è un paradosso. Anzi, una provocazione, come si sarebbe detto una volta. Innanzitutto perché il ritratto di questo perdente è il ritratto dello stesso Eco, che è stato molte cose ma certamente non perdente. Come accademico ha aperto nuovi filoni di pensiero, come manager delle università ha saputo creare nuovi modi di insegnare il sapere interdisciplinare che, a suo avviso, era ed è la chiave del nostro tempo.

Inoltre, lo studioso alessandrino di semiotica oltre che docente universitario è stato anche un saggista prolifico e molto bravo: sia con i tantissimi libri che ha scritto sia con gli articoli di giornale. Le sue Bustine di Minerva sono state un esempio di come si può fare giornalismo di idee divertente e a volte pungente. Ancora, Umberto Eco è stato anche, nel tempo libero potremmo dire, uno degli scrittori di romanzi di maggior successo nel mondo, a partire dal “Nome della rosa”.

Il gustoso paradosso della frase di Eco che ho ritrovato un po’ di tempo fa sta proprio qui: nell’indicare la persona che sa molte cose come un perdente, quando invece sapere un po’ di tutto oggi è forse l’unico requisito per cercare di acchiappare il successo. Perché?

Per saperlo bisogna andare a leggere un po’ di lavoro fatto dai futuristi, quelli seri, non chi vende oroscopi. I futuristi sono una categoria di consulenti per il mondo aziendale che sta dimostrando di essere sempre più necessaria nella misura in cui sanno dare prospettiva ai possibili cambiamenti che ci attendono nei prossimi anni.

Il loro lavoro è prezioso perché, in un mondo sempre più interconnesso e interdipendente, complesso e in cui i cambiamenti avvengono in modo rapidissimo e spesso rovinoso, fanno ipotesi ragionevoli e ragionate sull’evoluzione di molti settori diversi.

Ecco, il futurista, come poi dovrebbe essere l’imprenditore e il manager, è un erudito nel senso che ha una conoscenza trasversale che abbraccia campi diversi. E la costruisce perché sa che la prossima innovazione che cambierà il suo mercato e il suo modello di business, arriverà da un altro settore, da un altro “mondo”.

L’eclettismo che Eco velava dietro l’autocritica in realtà è forse il dono più prezioso che possiamo farci oggi. Una preparazione interdisciplinare, e quello che non si può studiare a scuola bisogna impararlo da autodidatti. Con la curiosità di chi ha capito che oggi ci sono molte più cose da conoscere di venti o trent’anni fa. Dalle intelligenze artificiali alla politica estera cinese, passando per le forme di economia alternativa e ai nuovi bilanciamenti vita-lavoro. E che molte di queste cose avranno un impatto frontale con le nostre vite e il nostro lavoro a stretto giro.

Ma, dopotutto, lo sappiamo: a Umberto Eco piaceva giocare con le idee. E il professore sapeva che il posto più sicuro dove nascondere un’idea preziosa era in piena vista, sotto gli occhi di tutti. Dove solo pochi l’avrebbero trovata.