Le opinioni

Il pensiero visionario di Vanoni e il lato etico trascurato dei tributi

Scritto il

di Antonio Tomassini – Professore di diritto Tributario, Partner DLA Piper Studio Legale

Nelle democrazie parlamentari è la politica a tratteggiare i confini della libertà economica, utilizzando le leve ritenute più opportune per perseguire il «giusto». Per il padre della prima grande riforma fiscale, Ezio Vanoni, il tributo è la leva più importante, al pari della spesa.

Il pensiero di Vanoni all’epoca era visionario. In un dopoguerra dove i tributi erano visti come prezzo per veder affermati i propri diritti, intuì che essi possono invece rappresentare strumenti per correggere il mercato e affermare libertà individuali e collettive. Oltre alla funzione finanziatrice, si affacciava la funzione redistributiva dei tributi, che discende dai canoni costituzionali di uguaglianza e solidarietà.

La strada intrapresa da Vanoni ha garantito una certa coesione sociale ma il viaggio, è importante ricordarlo oggi che stiamo vivendo una nuova grande sfida riformatrice fiscale, non è ancora giunto al termine. Abbiamo un tasso di evasione fiscale stellare (il cosiddetto tax gap è in discesa negli ultimi anni, ma è ancora intorno ai 100 miliardi), combattuta in questi anni con una logica sbagliata da guardie e ladri, senza una analisi dei diversi presupposti economici delle imposte, della reale distribuzione della ricchezza del Paese e delle ragioni della scarsa comprensione dell’utilità di pagare le imposte. Quello dell’educazione è un altro dei grandi obiettivi, sin dalle scuole si dovrebbe dar conto, tracciare dove finiscono i soldi pagati dai contribuenti.

I tributi non sono più solo, come affermava Locke, limitazione di libertà e sacrificio ma anche, in una evoluzione solidaristica-redistributiva, strumento per accrescere la stessa libertà e la giustizia sociale. Tuttavia “la bellezza di pagare le imposte” che evocava Padoa Schioppa, per esaltare la necessità di queste ultime in qualsivoglia gruppo sociale complesso, stenta a radicarsi nella nostra cultura. Manca la percezione della funzione etica del tributo. Del resto, il diritto, anche tributario, come scienza sociale serve a creare norme concepite in funzione delle scelte etiche. Alcuni studiosi hanno sottolineato il relativismo di tale scelte rispetto al momento culturale della società (Zagrebelsky e altri), ma non è sbagliato dire, in termini generali, che la scelta etica razionalmente accettabile è quella conforme alle esigenze naturali della persona umana.

L’evoluzione legislativa degli ultimi anni testimonia le difficoltà sopra indicate, avendo messo in crisi quel principio di progressività che dovrebbe rappresentare lo strumento cardine della redistribuzione. Oggi imposte proporzionali (come quelle sulle rendite finanziarie o sulle società) e tax expenditures (incredibilmente più di 600) frustrano il senso dei tributi di cui si accennava.

Se si vuole che lo Stato non sia percepito come il Leviatano, occorre cambiare verso e la delega fiscale è una occasione imperdibile.

Educare, distendere i rapporti fisco-contribuente attraverso un potenziato Statuto dei diritti del contribuente, un miglioramento, anche in termini di terzietà, del procedimento e del processo, un uso ragionato della tecnologia dovrebbero essere gli obiettivi primi del legislatore delegato e sono peraltro anche quelli che non presentano le limitazioni delle coperture, in quanto non costano nulla, anzi potrebbero avere impatti positivi sul gettito.

Su un sistema maggiormente equo possono poi innestarsi anche utilizzazioni extrafiscali dell’imposta, anch’esse fondate su scelte etiche e/o di “stimolo” all’economia. In senso “punitivo” si pensi alle imposte comportamentali per disincentivare quello che oggi viene ritenuto dannoso in quanto non sostenibile o non inclusivo, mentre in senso di “promozione” si pensi al fisco di stimolo su filantropia, cultura, turismo, fondi pensione, ambiente e nascite.