Le opinioni

Il portiere di notte e la meritocrazia delle idee

Scritto il

di Antonio Dini
(Giornalista e Scrittore)

Molti anni fa, durante un viaggio di lavoro negli Stati Uniti, ho conosciuto una persona molto saggia. So che sembra un cliché ma questa persona molto saggia era un portiere d’albergo: il King George di San Francisco, per la precisione, proprio dietro la centralissima Union Square.

Era un uomo di colore alto quasi due metri, con una voce roboante e un volto enorme, piatto, che sembrava fatto di gomma perché cambiava completamente espressione in pochi secondi. Dopo un po’ che mi vedeva sbarcare nella hall alle tre e mezza del mattino per via del jetlag, abbiamo iniziato a parlare. L’ultima mattina, poco prima che mi venisse a prendere il taxi per andare in aeroporto, ha voluto spiegarmi la sua filosofia di vita:

Se vuole avere ragione nel lungo periodo, mister, deve accettare che spesso sbaglia nel breve termine ed essere disposto a fare la cosa giusta.

Qual è la cosa giusta?

Scartare le convinzioni che si è messo in testa e che sono sbagliate.

E come si fa a farlo, gli ho chiesto vagamente annoiato da una conversazione che stava diventando noiosa. «Sembra difficile ma c’è un criterio molto semplice per scartare le idee sbagliate che ha in testa.

Avere un approccio meritocratico alle idee e cacciare i pensieri raccomandati.

Ricordo che da qui in avanti ho cominciato a prestare attenzione: la meritocrazia delle idee dentro la testa mi ha colpito. Il punto del ragionamento del portiere notturno del King George ruotava attorno a pochi concetti: se si adotta un approccio meritocratico alle proprie convinzioni, cioè se si tengono quelle che effettivamente sono di valore, allora non si prova angoscia o senso di sconfitta nel lasciare andare via un’idea venuta male per adottarne un’altra migliore, quando la incontriamo. E siccome le idee viaggiano sulle gambe delle persone, questo vuol dire ascoltare le cose che ci vengono dette e, se capiamo che il nostro interlocutore sta dicendo cose giuste, è il momento di archiviare la nostra convinzione e riconoscere la giustezza di quella altrui.

«Bisogna fare attenzione, però – ha aggiunto il portiere – perché c’è un tipo di idee che non vogliamo o non riusciamo a mandare via. Sono le più pericolose e anche le più futili». Quali sono? «Sono le idee crony, quelle raccomandate», mi ha risposto. «Sono le idee che vogliamo assolutamente avere per impressionare gli altri o, peggio ancora, per impressionare noi stessi».

Sono idee particolari, perché ricevono un trattamento molto diverso da tutte le altre: dato che in realtà non ci interessa sapere se stiamo facendo delle previsioni accurate sul mondo, non abbiamo bisogno di criticarle. Per loro non vale la “meritocrazia delle idee” che applichiamo alle altre.

«Se le sue idee fossero i dipendenti della sua mente – mi ha detto il portiere – allora sarebbe chiaro che ci sono due tipi completamente diversi: quelli che lavorano per lei perché sono bravi e generano valore, e quelli che prendono spazio e uno stipendio solo perché sono raccomandati. Sono persone, cioè idee, che ha assunto per nepotismo verso se stesso. Idee che non mette mai in discussione a meno che non creino troppi guai. Solo che alla fine i guai li creano sempre».

Nel mondo del lavoro questa situazione si riproduce continuamente. Ricordo che per settimane, dopo quest’ultimo incontro con il mio portiere di notte di San Francisco, ho cominciato a guardare in maniera diversa le cose che succedevano attorno a me. Soprattutto ad ascoltare le persone e a cercare di capire se le cose che mi dicevano, o meglio l’idea e l’intenzione che c’era dietro, era un’idea meritocratica o un’idea raccomandata. Anche nel caso dei miei avversari: lo erano sul serio, per motivi logici, oppure solo per qualche pregiudizio che non sapevano neanche controllare? Avevano ragione loro e torto io, magari?

La conclusione mi ha stupito: il ragionamento del portiere notturno filava e mi era venuta voglia di parlargli di nuovo, magari intervistarlo, vedere se c’era altro. Ricordo che è passato qualche mese prima che un altro viaggio di lavoro mi riportasse in California e purtroppo non solo del portiere non c’era più traccia, ma l’hotel stesso era stato acquistato da una catena e aveva cambiato completamente gestione. Negli anni successivi, tutte le volte che sono passato da San Francisco, ho sempre sperato di ritrovare il mio interlocutore, ma non ho avuto fortuna. In America non è facile, quindici anni dopo, rintracciare un portiere di notte nero, alto quasi due metri, del quale non ho mai saputo neanche il nome e la cui filosofia negli anni ho scoperto valere più di un master in management. Però la sua buona idea, ammesso che fosse sua, non è andata perduta.