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Il sogno americano esiste ancora?

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Era il 1930, un periodo difficile, simile a quello attuale. Per Moss Hart, però, fu il momento del trionfo del suo sogno americano. Cresciuto nella povertà dei sobborghi di New York, Hart aveva sempre avuto il «profumo acre della vera necessità» a portata di naso. Si era promesso che, se fosse mai diventato famoso, non avrebbe più preso i treni rumorosi della metropolitana cittadina.

A 25 anni, con il suo primo spettacolo, Once in a Lifetime, che aveva appena debuttato con successo a Broadway, Hart si trovava a festeggiare la sua ascesa. Tornando a casa all’alba, in taxi, attraversò il Ponte di Brooklyn, riflettendo su come anche un anonimo ragazzo di dieci anni, nell’epoca più buia della storia americana, potesse avere la possibilità, in quella “meravigliosa città”, di scalare le mura del successo. Hart vide in quel momento una rappresentazione tangibile del sogno americano: la possibilità per chiunque di realizzare i propri desideri, indipendentemente dalla ricchezza, dal rango o dal nome.

Oggi, possiamo ancora affermare che sia viva quell’idea di sogno americano? Dalla crisi economica del 2008, descritta da Barack Obama come un periodo di «disastro continuo per le famiglie lavoratrici americane», si potrebbe pensare al sogno americano come a una promessa infranta.

Tuttavia, se guardiamo al passato, vediamo che ogni epoca ha avuto le sue sfide. Come Hart durante la Grande depressione o come molti altri hanno dimostrato durante altre crisi storiche. Il sogno americano non è mai stata una questione di prosperità economica, ma soprattutto di resilienza e determinazione di fronte alle avversità.

Pensiamo agli italoamericani arrivati negli Stati Uniti dopo l’Unità d’Italia. Persone che fuggivano dalla loro patria per povertà e disuguaglianza, sognando un futuro migliore. Partivano per necessità, senza alternative e invece di trovare strade lastricate d’oro, si trovarono di fronte a una realtà dura e spesso ostile.

La narrazione popolare del sogno americano, quella che lo dipinge come un ideale un tempo raggiungibile e ora perduto, è intrinsecamente fallace.

Joe Biden ha recentemente definito l’essenza dell’essere americani con una singola parola: “possibilità”. Questo termine, che può apparire come una forma di propaganda, cattura in realtà l’ideale fondamentale di tutta la nazione. Gli Stati Uniti hanno sempre avuto una storia di discriminazione, dagli italiani alla fine dell’Ottocento agli ispanici oggi. Chi riesce a superare queste barriere diventa spesso il primo a esprimere un patriottismo orgoglioso, poiché ha raggiunto traguardi che sarebbero stati impensabili nel proprio paese d’origine.

Pertanto, il significato del sogno americano varia a seconda dell’epoca e del luogo di provenienza, sia che tu sia di origine ispanica, asiatica, afroamericana o europea.

Per le persone di origine italiana, forse la migliore definizione del sogno americano mi è stata fornita dal mio amico Emiliano Ponzi, uno degli illustratori più apprezzati, riconosciuti e premiati a livello mondiale. Oggi, chi arriva negli Usa dall’Europa lo fa non più per necessità, ma per “mettersi scomodo”, per trovare quella posizione dove il costante movimento e il non sentirsi completamente a proprio agio diventano stimoli per la crescita personale.

Questa nuova interpretazione del sogno americano, vista attraverso gli occhi di chi lo persegue, non è solo un percorso verso il successo materiale, ma un viaggio emotivo e incoraggiante verso la realizzazione personale. È un invito a credere nell’inesauribile potenziale di ognuno di noi, a riconoscere che, nonostante le sfide e le avversità, c’è sempre spazio per la speranza e per la trasformazione. Questo sogno, che continua a evolversi e adattarsi, rimane una fonte di ispirazione universale, una promessa di possibilità illimitate e di un futuro più luminoso.