Le opinioni

L’importanza di studiare equazioni e numeri non è quella che pensate

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Tempo addietro ho visto un documentario su Netflix che racconta l’età dell’oro dei videogiochi in Spagna: «Non ci piace Captain Sausage!». L’età dell’oro sono gli anni Ottanta, quando i videogiochi 8 bit avevano una grafica molto povera, gameplay brevi e, per compensare i mezzi limitati dell’epoca, un livello di difficoltà molto più elevato di quelli di oggi, che invece sembrano film più o meno interattivi ma sono sostanzialmente facili. I videogiochi come Capitan Sausage! all’epoca erano talmente difficili che c’è chi li rimpiange proprio per questo motivo: giochi più semplici e più difficili al tempo stesso.

Mi è tornato in mente leggendo un articolo dello scrittore Nat Eliason che spiega a cosa serva davvero imparare la matematica, in particolare l’analisi matematica. Mi aspettavo una spiegazione scontata: perché la matematica sviluppa il pensiero critico, oltre alla capacità di problem solving e ovviamente perché dà le fondamenta per una serie di potenziali carriere generalmente ben retribuite in ambito tecnico e scientifico.

Il ragionamento di Eliason invece è all’opposto: l’analisi matematica insegnata a scuola non serve praticamente a niente nella vita, se non come prova che si possono fare delle cose molto difficili. Perché, diciamocelo, la matematica è difficile, soprattutto se dovete farci un esame. Ma superarlo dopo aver imparato limiti, derivate, integrali ed equazioni differenziali è fondamentale per dimostrare a noi stessi che possiamo fare anche cose molto difficili.

La capacità di fare cose difficili è forse l’abilità più utile che si possa promuovere in se stessi o nei propri figli. La prova che siamo in grado di farle è una delle risorse più utili che possiamo avere non solo nel nostro curriculum formale ma anche in quel curriculum informale che portiamo sempre con noi nella nostra testa: l’autostima di noi stessi.

Una persona che sa di aver superato delle difficoltà come imparare l’analisi matematica ha in sé le risorse per superare anche altri ostacoli, sia personali sia lavorativi. La matematica, però, non è di per sé la cosa necessaria per sviluppare questo tipo di consapevolezza: esistono altre cose difficili da fare, compreso imparare a programmare app da soli oppure suonare uno strumento, parlare bene un’altra lingua, partecipare a gare sportive importanti.

Tra l’altro, io andavo male in matematica. Ma coi vecchi videogiochi ero decisamente bravo. Per questo il suggerimento finale di Eliason mi piace molto: se non siete persone che sanno di poter fare cose difficili, dice, trovate un modo per dimostrarlo a voi stessi. Come si fa? Imparando qualcosa, qualunque cosa sia in grado di trasformare la nostra posizione di default sulle sfide che ci si parano davanti da “sembra difficile” a “posso farcela”. Quello che dobbiamo fare è creare la prova per noi stessi che possiamo fare cose difficili. Finire un videogioco degli anni Ottanta rientra perfettamente nella categoria.