Le opinioni

Intercettazioni e presidenzialismo, dubbi e priorità del governo

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di Luigi De Magistris
(Politico e scrittore)

Negli ultimi giorni del 2022 il Governo Meloni ha indicato la linea del suo agire politico per il 2023. In economia andranno in continuità con Draghi e l’Europa, si è tolto ai fragili per sostenere chi sta meglio, poco coraggio e scarsa visione per un Paese che dovrebbe avere una guida di politica economica più forte. Con le norme anti-dissenso e anti-Ong si delinea il pensiero più di destra del governo.

Da una parte, allergia alle opposizioni sociali, in collisione con qualsiasi matrice liberale e anzi con un’impronta fortemente autoritaria e repressiva. Dall’altra parte, si adotta un atto razzista che colpisce chi salva vite umane e si lasciano invece per legge morire persone nel mar Mediterraneo o in balia delle autorità libiche. Poi la Meloni traccia il profilo istituzionale in cui operare nell’anno nuovo.

Autonomia differenziata che renderà il Paese ancora più disunito e diseguale e che non aiuterà maggiore coesione sociale e giustizia economica nonché parità di diritti. Per passare alla scelta di meno controlli istituzionali, urlati come stop alla burocrazia ma che in realtà celano altro di molto pericoloso: fastidio per Tar, Sovrintendenze e controlli di legalità. Altra cosa sarebbe invece avere meno norme, più chiare e trasparenti ed eliminare formalismi inutili. Non è ammissibile voler cancellare controlli e verifiche che sono il cardine dello stato di diritto. Soprattutto in un periodo storico in cui si dovrà spendere un fiume di denaro pubblico.

Poi la riforma della giustizia: invece di puntare su una giustizia più rapida e giusta, meno costosa, alla parità nel penale tra accusa e difesa, alla certezza della pena e ad affrontare finalmente l’emergenza carceraria (quasi 100 suicidi nel 2022 e un aumento di casi scoperti di violenze e torture su detenuti), il governo pensa ad altro.

Riduzione delle intercettazioni per reati contro la Pa, quindi anche truffe sui fondi pubblici, peculati, corruzioni e concussioni; introduzione della discrezionalità dell’azione penale, quindi sarà il potere esecutivo a decidere le priorità giudiziarie; ridimensionamento del ruolo del pubblico ministero che vogliono far rientrare nell’orbita del controllo della politica. La riforma della giustizia sarà il mantra del governo per il 2023, è la loro fissazione da sempre. Purtroppo questa volta il risultato sarà raggiunto e sarà un colpo ferale per l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e per l’autonomia e indipendenza della magistratura, che ancora però non è stata in grado di fare autocritica su tanti errori e stenta a ritrovare l’autorevolezza necessaria per godere di ampia e diffusa gratitudine nella popolazione.

La volontà, poi, di iniziare il percorso istituzionale, questo più difficile, per passare dalla repubblica parlamentare a quella presidenziale. Piuttosto il Paese avrebbe bisogno di una legge elettorale democratica e costituzionale per garantire rappresentanza effettiva al popolo, maggioranze politiche e stabilità di governo. Invece il disegno politico del governo è quello di un assetto verticistico, con un forte ridimensionamento dei contrappesi costituzionali che bilanciano i rapporti di forza tra poteri, nel voler concedere poteri enormi a chi viene eletto dal popolo, non come capo del governo ma come capo dello stato.

La nostra fragile democrazia rischierebbe molto nell’affidare poteri assoluti al capo di stato, non più garante e custode imparziale della Costituzione, che avrebbe anche forte incidenza sulla magistratura, sulle forze armate, sullo stesso esecutivo e parlamento. In tutto questo, invece, la realizzazione dei diritti principali – lavoro e salute in primis – e la questione morale che è il battito etico della democrazia, non sembrano essere, nemmeno per il governo di Giorgia, una priorità per il nostro Paese.