Le opinioni

La morte di Indi è la sconfitta di un’epoca

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La struggente vicenda di Indi mi ha strappato un pezzo di cuore. E lo dico da uomo, da padre, da essere dotato di una coscienza e di un senso etico e spirituale del rapporto tra gli esseri viventi, non solo umani, che popolano questo sempre più triste Pianeta.

Indi Gregory era una bimba inglese di soli sette mesi, affetta da una patologia mitocondriale che la scienza reputa incurabile. Quindi, è stata condannata da un giudice a essere soppressa, come si fa con un animale quando lo si porta dal veterinario. Ma non solo: ai genitori è stato vietato persino di farla morire in casa, in un orgasmo di onnipotenza giudiziaria che ha in sé qualcosa di diabolico.

Partiamo quindi dalla scienza, con una precisazione fondamentale: non sono per l’accanimento terapeutico, anzi! Sono però per la libertà di cura, per la totale e soggettiva gestione del proprio corpo, intesa come decisione che deve pertenere a ognuno di noi; per esempio, scegliendo di non assumere sostanze che ritiene pericolose, laddove non ci siano totali e rassicuranti certezze sugli effetti avversi, soprattutto se non siano neanche comprovate le effettive necessità di interesse collettivo. Insomma, la libertà di non aderire a protocolli che vorrebbero essere legalmente imposti non essendo però aderenti al principio sacro della medicina che è quello di “primum, non nocere”, cioè “per prima cosa non nuocere”!

Ma proprio perché sono per la libertà che ognuno di noi deve avere per non essere mai prevaricato da altri esseri umani, togati, in uniforme o in camice che siano, non posso accettare l’imposizione di farmaci sperimentali per decreto governativo e tanto meno sia l’impossibilità di scegliere di morire sia quella di provare a vivere anche se la “scienza” (sì, sempre l’invocata scienza, sob!) dice il contrario. La scienza si nutre di incertezze, del non sapere, perché infatti vive nella ricerca e la ricerca la si fa quando non si conosce, non quando si sa.

Eppure, la narrazione che la descrive come il tempio del sapere, e quindi proprio nell’accezione contraria alla definizione stessa di scienza, la impone in sostituzione delle coscienze, dell’afflato spirituale che nutre le nostre anime, della speranza nel miracolo di cui da sempre si cibano i cuori umani e le relative anime. Diventa così “normale”, sopprimere – e perdonate il termine duro, ma credo che le cose debbano essere chiamate con il loro nome – per sentenza una piccola bimba che non può difendersi. Come diventa, per proprietà tragicamente e iperbolicamente transitiva, “normale” fare strage di cinquemila bambini a Gaza, o in qualche kibbutz israeliano, o dovunque. Oppure, avallare l’ipotesi che i feti vengano concepiti e gestiti da un’Intelligenza Artificiale, non più frutto quindi di un rapporto carnale e si spera amoroso tra un uomo e una donna.

La definirei la “normalità” di un’epoca satanica, che ha perso il contatto con il divino, spinta dal consumismo e da una visione radicale e stoltamente materialista della vita e del nostro passaggio in questa esistenza. Indi diventa così, con la sua breve e triste permanenza in questo mondo, un simbolo. E mi scuso di usarla come tale, ma la “uso” anche io per stimolare un minimo di ribellione delle coscienze umane. Quelle coscienze addormentate dall’Intelligenza Artificiale della digitalizzazione a ogni costo, della sostituzione dell’Uomo con le macchine. Quelle macchine che oggi decidono sulla vita e sulla morte di tutti noi, tramite un tasto che preme un “togato” ubriaco di codici. Ma se continua così, il futuro non potrà che essere peggiore perché il “togato” sarà presto sostituito da un computer e, a quel punto, sarà sì, la “fine dei tempi”!