Le opinioni

La primavera dell’occupazione ma ai numeri da record non corrisponde la qualità

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di Cesare Damiano –  Ex ministro del Lavoro, Presidente Associazione Lavoro & Welfare

Nei dati rilevati dall’Istat, aprile ci porta la conferma di una “primavera” record dell’occupazione in Italia. Una crescita che riguarda l’intero primo quadrimestre del 2023.

Viaggiando di conserva con la crescita economica, il tasso di occupazione presenta un quadro apparentemente più che positivo. Apparentemente. Perché l’astratta brillantezza dei numeri assoluti nasconde i dettagli più grigi di quel quadro. Dettagli che suggeriscono dei consistenti “ma” a una lettura frettolosamente ottimistica.

Il primo e più significativo di tali “ma” è stato messo nero su bianco dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle ultime Considerazioni finali del suo mandato, presentate il 31 maggio.

«Troppi, non solo tra i giovani, non hanno un’occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate. In molti casi – ha spiegato il governatore – il lavoro a termine si associa a condizioni di precarietà molto prolungate: la quota di giovani ancora precaria dopo cinque anni resta al 20%».

Dunque, emerge l’interrogativo su come un mercato del lavoro tonico produca un’occupazione di scarsa qualità. E ciò nonostante gli stessi dati Istat certifichino la grande crescita dei posti di lavoro stabili: 468mila contratti a tempo indeterminato in più nell’ultimo anno.

Gli occupati a tempo indeterminato, in Italia, sono quasi 15 milioni e mezzo: un massimo storico. In aprile, inoltre, i disoccupati sono scesi al 7,8% e, rispetto a un anno fa, sono 72mila in meno. Calano gli inattivi che scendono, sul mese precedente, di 25mila unità e sono 383mila meno del 2022.

Venendo al dettaglio del mese di aprile, gli occupati crescono di 48mila unità. I contratti a tempo indeterminato crescono di 74mila unità, mentre quelli a termine scendono di 31mila. Una conferma del trend che abbiamo precedentemente descritto. Il tasso di occupazione raggiunge il 61 per cento, corrispondente a 23 milioni e 446mila lavoratori occupati. Con un altro “ma”: gli uomini occupati sono il 69,8 per cento; le donne appena il 52,3.

Ricorda ancora Visco che «negli ultimi 25 anni il prodotto per ora lavorata è cresciuto, appena, dello 0,3 per cento all’anno», cioè, «meno di un terzo della media degli altri Paesi dell’area dell’Euro». E là, dove la produttività è bassa, si annida l’insufficienza delle retribuzioni. Per questo, una crescita dell’occupazione non rappresenta, di per sé, l’avvento del lavoro di qualità. Schematizzando: bassa produttività=bassa qualità del lavoro=basse retribuzioni.

Almeno una qualche risposta ai problemi che affliggono il nostro tessuto produttivo può venire dalla qualità della contrattazione. È di questi giorni una notizia rilevante. Nel Contratto dei metalmeccanici, sottoscritto due anni fa, c’è una clausola di salvaguardia che prevede un adeguamento dei minimi retributivi in base all’Indice dei prezzi al consumo armonizzato a livello europeo (Ipca) realmente rilevato ogni anno.

Nel 2023, per la prima volta, l’indice darà un risultato superiore ai 27 euro medi stabiliti dal contratto, poiché l’inflazione è molto più alta di quella valutata al momento della firma. In base a tale clausola i metalmeccanici riceveranno, per il 2023, un aumento medio di 123,40 euro mensili. Come si vede, qualità del lavoro e del salario sono strettamente collegate, così come esiste un legame tra legislazione di sostegno (incentivi per il lavoro stabile e riduzione del cuneo fiscale) e buona contrattazione. Solo così si possono sostenere lavoratori e imprese in un momento di difficile transizione.