Le opinioni

Gli ignoranti del succo di limone e la ricetta giusta in azienda per gestire la trasformazione

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di Antonio Dini (Giornalista e scrittore)

McArthur Wheeler aveva imparato una cosa a scuola: il limone è un ottimo inchiostro invisibile. A 44 anni l’uomo, originario di Pittsburgh, era convinto che questa nozione potesse essere applicata anche in altri ambiti: alcuni suoi amici gli avevano infatti spiegato che, con il viso bagnato dal limone e tenendosi ben lontani da fonti di calore, i tratti della faccia diventassero invisibili a qualsiasi telecamera o macchina fotografica. Una Polaroid scattata male ritraeva il suo volto completamente sfocato. Così, armato di questa convinzione, a metà degli anni Novanta Wheeler entra non in una ma in due banche e, gocciolando limone dal volto completamente scoperto, le rapina una dopo l’altra. Poco dopo viene arrestato e, ai poliziotti che lo ammanettano nel soggiorno di casa sua dove stava ancora cercando di far passare il bruciore agli occhi, dice: «Ma è impossibile, avevo messo su il succo».

La prima, ovvia considerazione è che Wheeler se lo meritasse, oltre che per i reati in sé anche per la sua stupidità monumentale. In realtà l’uomo ha reso un grande servizio all’umanità. È stata la scintilla che ha creato un modo per vedere l’effetto delle competenze delle persone.

La storia di Wheeler, finita sui giornali, venne letta da David Dunning, professore di psicologia alla Cornell University. Il quale osservò:

Le persone a cui mancano le competenze sono quelle che sono meno in grado di apprezzarle.

Nacque così l’idea dell’effetto Dunning-Kruger (il secondo nome è quello dello studente Danny Kruger, con il quale il professor Dunning ha svolto le ricerche ed effettuato tutti i test). È un’idea fondamentale: chi non sa niente è ignaro della sua ignoranza, mentre chi è ben educato e formato ritiene di essere meno competente di quanto non sia realmente. Attenzione, non è stupidità, ma semplicemente mancanza di competenze. È diverso, e spiega molte cose. Ad esempio, la vita in azienda. Che non sarebbe comprensibile senza sapere che c’è l’effetto Dunning-Kruger. Gli uffici sono quei posti dove le persone si confrontano con problemi e li risolvono sulla base delle loro competenze. Sia i problemi di lavoro che le relazioni con i colleghi, i capi, i clienti, i fornitori e tutti gli altri.

Fino a un po’ di tempo fa la vita in ufficio era relativamente semplice così come la struttura economica del nostro Paese e la stratificazione sociale: le competenze apprese a scuola e durante i periodi di specializzazione, formazione e tirocinio bastavano più o meno per una vita, sino alla pensione. Certo, le persone meno competenti ci sono sempre state, ma la statistica suggeriva che le percentuali fossero relativamente stabili.

Poi il mondo è cambiato, molto velocemente e senza alcuna regolarità prevedibile. Le discontinuità sono sotto gli occhi di tutti. Sono cambiati i mercati, i modi con cui si produce e si consuma, le persone, i tipi di famiglie, la sensibilità rispetto a minoranze e diversità: siamo diventati una società globalizzata, digitale, multiculturale, liquida, poliamorosa. Che lo si voglia o no.

Il problema è che non ci sono le competenze specifiche per affrontare le differenti trasformazioni. Gli amministratori delegati di mezza età fingono di sapere cosa sia il metaverso e quale sia la strategia digitale migliore per arrivare alla demografia dei Millennials e Gen-Z, così come gli impiegati ritengono di sapere come navigare i flussi di informazioni disseminate in procedure cloud su piattaforme che vengono cambiate quotidianamente.

Le persone arrivano in ufficio la mattina con il viso gocciolante succo di limone e l’arroganza di chi vuole gestire tutto con le sue categorie: «abbiamo sempre fatto così», «so come si fa», «non c’è motivo per cambiare».

È l’arroganza dell’ignoranza, quella che logora la vita di tutti. Dal capufficio che prende decisioni a vanvera, convinto di sapere quel che fa, ai colleghi che invece lo criticano perché sono convinti a loro volta di aver capito tutto. In questo bagno di ignoranza, quelli che stanno nel mezzo, cioè che hanno le competenze, ritengono di non aver capito abbastanza e si fanno di lato, pensando che gli altri ne sappiano di più.

L’antidoto all’effetto Dunning-Kruger non è la formazione nozionistica. Invece, occorre portare a maturazione il pensiero critico: sviluppare un modo ragionato per arrivare alle conclusioni, accettare e lavorare sulle critiche ricevute, ascoltare e accettare le visioni altrui anziché imporre le proprie a prescindere. Occorre praticare l’ascolto attivo, in cui si parte dal presupposto che gli altri abbiano ragione e si chiede di spiegare il perché. Vi consiglio di provare questo approccio: potreste scoprire molte cose, tra le quali che il succo di limone non rende invisibili.