Le opinioni

La sindrome dell’impostore e la lotta di classe 2.0

Scritto il

di Antonio Dini
(Giornalista e scrittore)

La sindrome dell’impostore non è un termine medico, ma un modo diverso di indicare la lotta di classe nel nostro Paese. Che è tutto tranne che scomparsa. Sorpresi che esista ancora la lotta di classe? Non dovreste.

Quando si pensa alla lotta di classe vengono in mente le ideologie del secolo scorso, oramai decotte e cancellate dalla storia nonostante qualche nostalgico che suona ancora l’inno nazionale dell’Unione sovietica. La lotta di classe non è più quella. Invece, ha assunto una forma diversa. È la sindrome dell’impostore, cioè dei pochi che cancellano i molti. Una lotta al contrario, insomma, autoimposta e rivolta contro se stessi.

Funziona così. Nella società della comunicazione ci lasciamo condizionare da una piccola élite che non ci rappresenta e ci fa sentire di non essere adeguati anche se siamo laureati e ben preparati. Dopotutto, la sindrome dell’impostore azzera la capacità di esprimere la propria potenzialità a quasi metà della forza lavoro, soprattutto le donne. È stata individuata nel 1978 da due psicologhe anglosassoni. Viene definita come uno stato psicologico in cui un individuo dubita delle proprie capacità, dei propri talenti o dei propri risultati e ha una persistente paura interiorizzata di essere smascherato come un impostore. In parole povere, è la sindrome di inadeguatezza delle persone molto preparate che sono convinte però di non essere all’altezza, di non meritarsi i risultati.

È un problema serio, non solo per i singoli. In Gran Bretagna il quotidiano Guardian ha cominciato a chiedersi se questa sindrome che convince centinaia di migliaia di persone di non valere niente, nonostante abbiamo studiato il doppio e siano più brave dei loro colleghi, non sia dannosa per tutta la società. Infatti, fa male alle imprese, oltre che alle persone: bloccare l’autostima di quasi metà dei lavoratori vuol dire correre sui mercati con il freno a mano tirato. Oltre a essere sbagliato è anche stupido. Eppure succede continuamente.

Proviamo a fare un esperimento mentale e a proiettare questo ragionamento da noi, in Italia, con la nostra mobilità sociale vicina a zero. Immaginiamo che la sindrome dell’impostore sia una reazione comune a chiunque provenga da una famiglia di lavoratori in origine svantaggiati (operai o contadini) rispetto ai pregiudizi di una società in cui le classi creative che elaborano le grandi narrazioni sono composte dai pochi, per la stragrande maggioranza figli di papà con un’estrazione tutt’altro che popolare, laureati figli e nipoti di laureati, con famiglie ad alto capitale economico e culturale. Non vi sembra un quadro familiare?

Se pensate invece che l’Italia sia un paese diverso, moderno, forse è il caso di guardare qualche numero. I laureati: siamo al penultimo posto in Europa, con una percentuale attorno al 25% fra i 25 e i 34 anni. Se torniamo indietro di trent’anni per vedere quanti tra i genitori degli attuali neolaureati fossero a loro volta laureati, la percentuale crolla a poco più del 12%. Pochi, pochissimi.

Ma perché dico che la sindrome dell’impostore è il nuovo nome della lotta di classe? Semplicemente perché la maggior parte di chi studia o lavora, con una vita e una mentalità molto diversa da quella dei pochi, viene schiacciato da un modello classista di società della comunicazione che racconta una realtà falsata. Una realtà disegnata da persone che vengono da famiglie diverse dalla nostra, con una storia e delle prospettive diverse.

L’Italia è un Paese in cui solo il 15,3% della popolazione vive in una delle dodici grandi aree urbane. L’immagine di chi ha successo, di chi è realizzato nella vita, fa bene il suo lavoro e si gode fino in fondo tutte le opportunità, viene definito da pochissime persone che vivono in maniera completamente diversa da tutti gli altri. Dalla classe dei pochi che si muove nei quartieri alla moda di Milano come di Roma, con dietro le spalle scuole private, famiglie capaci di sostenere corsi di studio spesso più lunghi del dovuto e una rete di relazioni per trovare subito uno sbocco lavorativo al di là del merito.

In una società come la nostra, ubriacata dalle logiche di mercato ma in realtà ingessata da una mobilità sociale bassissima, di fronte a questi esempi di successo la sensazione di essere impostori è semplicemente la reazione inconscia a uno scontro di classe sotterraneo, carsico. È motivo di blocco per moltissimi. La conseguenza spesso è la fuga all’estero, dove non ci si sente più impostori e anzi, si ha la sensazione di essere apprezzati per quello che si vale. Diventando però esuli sconfitti dalla moderna lotta di classe. Perché non c’è un dibattito su questo argomento? Dovreste chiederlo ai pochi che però tracciano le grandi narrazioni della nostra società.