Le opinioni

La truppa dei dipendenti

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È cambiata la vita in ufficio. Me lo dicono ormai molte persone, da più parti. Lo confermano anche alcuni sondaggi che sto leggendo in questo periodo. La sintesi? Lo stipendio non è cambiato, invece sono diminuite le persone in ufficio mentre il lavoro è aumentato.

La cosa più preoccupante nell’immediato ovviamente è il lato economico. Tutti vogliamo riuscire ad arrivare a fine mese, ma l’attuale congiuntura economica, con l’inflazione che porta l’aumento sistematico dei prezzi, sta erodendo il potere di acquisto dei nostri stipendi. La conseguenza è che gli indicatori delle spese per le famiglie italiane stanno andando in fibrillazione. E il periodo natalizio, che in un Paese a forte vocazione turistica come il nostro è critico, servirà da test per capire cosa sta succedendo veramente. Gli scenari peggiori indicano una flessione in doppia cifra della spesa delle famiglie. Forse ci aiuterà il dollaro forte e l’arrivo in quantità dei turisti americani, ma è ancora presto per dirlo.

Tuttavia, non è questo quello che trovo più preoccupante, in prospettiva. E neanche l’aumento del carico di lavoro in ufficio, perché all’orizzonte ci sono nuovi strumenti per automatizzare buona parte delle attività più ripetitive e alienanti.

A mio avviso, invece, dal punto di vista strategico ad essere molto pericoloso è il mancato turnover interno. Perché fa molti danni e tra loro diversi. Innanzitutto, con una falsa idea di risparmio, getta via in realtà un patrimonio di competenze che ogni azienda dovrebbe fare di tutto per preservare. A parte le situazioni veramente gravi, in cui l’alternativa ai tagli drastici è la chiusura, ogni licenziamento o riduzione di personale, ad esempio con il meccanismo dei prepensionamenti, porta con sé una perdita di competenze e “saper fare” che può avvelenare l’operatività di qualsiasi business.

Intanto, diminuisce la produttività e soprattutto la qualità del lavoro, perché con le persone se ne vanno anche le competenze dei più esperti. Ma in realtà si perde anche la capacità di affrontare nuove sfide o cambiamenti improvvisi di mercato, perché mancano le persone qualificate che sanno come muoversi in situazioni nuove. C’è insomma un declino generale, soprattutto quando i tagli vengono fatti in maniera lineare, centrandoli sul peso delle retribuzioni annue lorde (la Ral, il costo dell’azienda) e non sull’operatività strategica.

Infine, non dimentichiamo una cosa: in questa fase iniziata con la pandemia ma che in realtà covava sotto la cenere da tempo per via di un cambio generazionale e la comparsa di strumenti inediti per il lavoro a distanza, il vero problema non è allontanare i dipendenti, quanto riuscire a trattenerli.

A meno che l’obiettivo non sia chiudere l’azienda e fare altro, qualsiasi imprenditore dovrebbe chiedersi cosa sta cercando di ottenere con le persone che lavorano per lui e quelle che potenzialmente lo faranno nei prossimi mesi e anni. L’obiettivo è trasformarsi adattandosi al mercato? Mantenere la posizione? Crescere?

Sono tutte cose possibili se si hanno persone capaci e formate. Le migliori innovazioni, i mercati più ricchi e i contratti più favorevoli non servono a niente se poi l’azienda è disabitata. Intendo: disabitata dal punto di vista delle intelligenze e delle competenze.

Ci vuole tempo per coltivarle e costruirle e spesso gli imprenditori sono prigionieri di una mentalità guerresca, da generali. Per molti imprenditori e dirigenti i dipendenti non sono più persone, diventano invece la truppa di un esercito che va alla guerra. E, come in tutte le guerre, se si perde una battaglia si perdono anche un sacco di soldati. Sbagliato.

In realtà i dipendenti sono più simili a dei figli: vanno fatti crescere con un percorso che presenti delle opportunità professionali tali da motivarli non solo a restare in azienda ma anche a dare il meglio che possono. E perderli è una vera sciagura, non una forma di taglio dei costi, perché con loro se ne va un investimento di tempo e soldi che a un certo punto bisognerà rifare da capo.